Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Eg Records
Anno: 
1974
Line-Up: 

- Robert Fripp - Chitarra, Mellotron
- John Wetton - Basso, Voce
- William Bruford - Batteria
- Ian Mc Donald - Sax
- Mel Collins - Sax
- David Cross - Violino
- Robin Miller - Oboe


 

Tracklist: 

1. Red
2. Fallen Angel
3. One More Red Nightmare
4. Providence
5. Starless
 

King Crimson

Red

Se per i King Crimson il 1969 è - ovviamente - l'anno dell'esordio shockante, dell'inizio di una fiaba musicale ormai leggendaria, il 1974 coincide invece col raggiungimento e il consolidarsi della posizione dominante all'interno dello scenario prog-rock. Questo perchè Red, per l'appunto prodotto nel '74, in qualche modo rappresenta il volto più completo, equilibrato e abbagliante della rivoluzione musicale del Re Cremisi, proprio in quel periodo in cui i gruppi capisaldi del genere cominciavano a perdere qualche colpo (Yes, Van Der Graaf Generator e Genesis in primis). Robert Fripp sale così sul punto più alto del pianeta Terra e guarda l'umanità col solito sguardo impenetrabile e bizzarro: l'ennesimo capolavoro è alle porte.

Red è un incantesimo continuo, probabilmente la testimonianza più illuminante della perfezione espressivo-linguistica raggiunta dai King Crimson nel corso degli anni. Limbo in cui si incontrano spiritualità esoterica, afflato romantico e atmosfere cupe e notturne, il capolavoro del 1974 riprende il meglio della produzione musicale dei King Crimson (la ricercatezza strumentale di Lizard, il mood neoclassico di Island, l'inquietudine di Larks' Tongue In Aspic e l'onirismo di In The Court Of The Crimson King) e lo traspone in un linguaggio estremamente più colto, raffinato ed emozionante.

L'omonima Red ci introduce in questa danza spettrale e inquietante, presentandoci atmosfere che alternano un'elegante cupidigia a momenti di puro romanticismo, simboleggiati dalle solite, struggenti aperture melodiche che fungono da climax emotivo, dissolvendo con tocco magico le ambientazioni più oscure dipinte dalla chitarra di Fripp e dal factotum Ian Mac Donald. Il resto è un interminabile susseguirsi di capolavori, di sogni d'altri tempi, di soave astrattismo narrativo ma anche di incubi esistenziali la cui morsa stringe senza pietà: Fallen Angel (forse la miglior ballata mai scritta da Fripp) raccoglie l'anima dell'ascoltatore nella sua soffice presa, dipingendovi attorno paesaggi ondulati di cui ci si innamora al primo impatto, grazie anche al tono caldo con cui la voce di John Wetton si impone sul raffinato ensemble strumentale sottostante; One More Red Nightmare è invece l'anatema crimsoniano per eccellenza, la maledizione prog-rock la cui atmosfera è un concentrato purissimo di inquietudine e di suoni distorti, quasi laceranti: una tragedia umana che, nota dopo nota, riff dopo riff (attenzione a ciò che combina Bruford), penetra sempre di più con la sua lama sanguinante che continua a scavare nel nostro inconscio tramite le più sofisticate ed enigmatiche evoluzioni di Providence.

Si arriva così al capitolo conclusivo di questo viaggio ascetico nell'inquietudine umana: è infatti la meravigliosa Starless a trasformare l'agghiacciante incubo frippiano in un commovente incanto onirico: l'intreccio melodico grondante malinconia, il suo laconico ma espressivo stirarsi, la sua atmosfera così eterea e fantasiosa sono infatti l'ultima luce, l'ultimo abbaglio da cui i nostri occhi vengono travolti prima del risveglio. Una soave danza di mellotron, fiati, chitarre e una voce - quella di Wetton - trascinante come poche nell'intero panorama prog: una suite che dalla sua perfezione realizzativa guarda indietro nel tempo, brucia con un sguardo un intero lustro di sperimentazione progressive e, con fare imperioso ma al contempo intimista, apre le porte ad una nuova concezione dell'atto musicale sperimentale.

Dopo Red, infatti, il progressive rock non conoscerà più capolavori, ma solo effimere rappresentazioni di un linguaggio ormai accademico e superato. L'alchimia linguistica di Fripp raggiunge nel gioiello del 1974 uno stato che nessun progetto contemporaneo ha mai nemmeno sfiorato: un'introspezione artistica nella quale i King Crimson hanno riassunto per l'ultima volta le linee guida di un genere (a tratti sembra quasi di risentire la marziale inquietudine dei Van Der Graaf Generator e il sinfonismo dei Genesis) per poi trasporle in una dimensione spazio-temporale avanguardista e psichedelica, priva di qualsiasi punto di riferimento e sempre più proiettata verso un carattere estemporaneo a cavallo tra metafisica e purismo razionalista.

 

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