Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Enrico Gullo
Genere: 
Etichetta: 
Autoproduzione
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Luca Murgia - chitarra
- Daniele "Tunno" Ferru - batteria
- Frank Morana - voce
- Nicola Pirroni - basso


Tracklist: 

1. Fellow's Wait
2. Chains
3. We Bore
4. Mansion

Killing Machine, The

Fellow's Wait

Una voce che rievoca l’oscuro King Diamond, due chitarre la cui somiglianza con la coppia Tipton-Downing (soprattutto fra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta) risalta moltissimo, un basso martellante, proprio come lo vorrebbe il buon Steve Harris, la ritmica scandita da una batteria che rimanda a Scott Travis: ecco come potrebbe venire sintetizzato in poche righe il contenuto del primo demo dei The Killing Machine, intitolato Fellow's Wait. Chi ancora pensa che l’Italia non sia in grado di sfornare dell’Heavy Metal di gran classe, dovrà ricredersi dopo l’ascolto dei quattro pezzi che compongono questo lavoro, proveniente dalla provincia di Cagliari, e cui proposta musicale consiste in un Heavy/Power non troppo originale, ma sicuramente molto ben eseguito.

La traccia iniziale, Fellow's Wait, si apre con un arpeggio al quale subentra un riff che comunica una buona dose di adrenalina. Così, prepotentemente, si impone la voce tonante del singer, che, nel ritornello, si fonde con l’ottima ritmica fornita da un basso che fa da cornice e da una batteria che batte il tempo marziale, dando la netta sensazione di stare ascoltando gli eredi dei migliori Iced Earth. Buona la scelta del controcanto in falsetto sempre nel refrain. L’assolo di chitarra non è propriamente in linea con il resto del pezzo, ma si adatta e rende il brano differente dai canoni del genere al quale appartiene. Sebbene la seconda traccia, Chains, non proponga riff di straordinaria originalità, risulta essere una canzone pesante al punto giusto, abbastanza carica e che mette in luce al massimo le potenzialità del cantante. La batteria si dà all’uso del doppio pedale, accompagnando chitarre acide che scandiscono riff malsani. Si passa però, quasi subito, ad un normale pezzo che, in quanto a ritmica, rispecchia parecchio la compositiva degli Iron Maiden.

Gli acuti finali di Chains ci portano alla song successiva, We Bore, anch’essa, come la traccia introduttiva, aperta da un arpeggio, stavolta però distorto. Un pezzo in bilico tra l’Hard Rock e l’Heavy Metal, con diversi rimandi alla carriera solista di Bruce Dickinson. Purtroppo la sezione di basso, sebbene si riesca a sentire, persevera nel suo atto di incorniciare il resto delle linee strumentali. Un’azione della ritmica un po’ più incisiva potrebbe dare un certo ulteriore spessore alla composizione, la quale invece non soddisfa del tutto, anche a causa della non ottima prestazione in acuto del frontman. Tuttavia i rimandi ai Mercyful Fate, fino a questo brano rimasti confinati alla sessione vocale, rendono gradevole il pezzo. Un riff in pieno stile Megadeth apre l’ultima track della demo, Mansion. Come Fellow’s Wait voleva essere una presentazione in grande spolvero del gruppo, Mansion sembra voler chiudere l’album in bellezza, regalando all’ascoltatore un brano con toni a tratti Heavy, a tratti Thrash, a tratti persino Speed Metal. Le chitarre in pieno stile Saxon, Judas Priest ed Iron Maiden ci donano assoli e riff incisivi e decisi. Questi impreziosiscono Mansion rendendolo, dopo la traccia d’apertura, il vero gioiello del disco.

Purtroppo i The Killing Machine spesso mancano di originalità, ma sentire del Metal che sembra sbucato fuori dagli anni Ottanta, senza compromessi e ben eseguito, fa sempre molto piacere. I presupposti sembrano esserci: attendiamo il resto.

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