Voto: 
9.7 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Peaceville Records
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Jonas Renkse - voce, programmazione della chitarra
- Anders Nyström (Blakkheim) - chitarra, tastiera, programmazione
- Fredrik Norrman - chitarra
- Mattias Norrman - basso
- Daniel Liljekvist - batteria e percussioni


Tracklist: 

1. Leaders
2. Deliberation
3. Soil's Song
4. My Twin
5. Consternation
6. Follower
7. Rusted
8. Increase
9. July
10. In the White
11. The Itch
12. Journey through Pressure

Katatonia

The Great Cold Distance

La tetra strada di Viva Emptiness, abbagliata solo dalla luce fioca emessa dai lampioni ai lati, non si è fermata, ma ha trovato un valido proseguimento in The Great Cold Distance, dove prevalgono tonalità cromatiche rosso sangue, immerse sempre nel contesto della città di vetro.
L’evoluzione messa in atto dai Katatonia nel lontano 1998 non si è arrestata neppure per The Great Cold Distance, opera dall’aspetto apocalittico e struggente, votata a sonorità completamente Alternative Rock: l’unico filo conduttore che lega insieme tutte le produzioni del quintetto svedese è la chiave di interpretazione depressa, tormentata e profondamente negativa della vita.
The Great Cold Distance si prospetta un disco sì dotato di maggior impatto sonoro, potenza e aggressività, ma non scarno di quell’atmosfera decadente che aveva delineato il concept di Viva Emptiness.
Plasmato dalle menti di Renkse e di Nystrom, il nuovo capolavoro prende forma attraverso dodici tracce, che riescono ad esplorare aloni oscuri ed inquietanti, memori delle lezioni impartite dai Tool di Maynard James Keenan, e arricchiti da quel feeling squallido e marcio, tipico del dimenticato Discouraged Ones. L’innovazione dei Katatonia consiste di molti elementi, inediti al sound precedente della band perché appena accennati in Viva Emptiness: tempi dispari, riff contorti dalle parvenze Alternative, linee di basso marcatissime, elettronica apportata dagli echi delle chitarre, riprese devastanti, accompagnamenti di batteria più vari ed elaborati, voci sussurrate angoscianti e cariche di dolore.

Le canzoni sono strutturate in modo consapevole e perfetto, i passaggi si susseguono ritmati e mai banali, le parti distese trasmettono gelide sensazioni di perdita e di smarrimento: pare che la maturazione dei Katatonia sia giunta al culmine della carriera, poiché nulla viene trascurato e lasciato al caso, ma è il risultato di un’attenta analisi per rendere The Great Cold Distance il disco più freddo e impetuoso dell’ultimo periodo Depressive Rock.
Ciò che conferisce eleganza al complesso è poi l’impeccabile produzione che riesce a valorizzare il lavoro di ogni singolo strumento, oltre che a giocare parecchio sugli effetti onnipresenti in sottofondo.
Leaders avvia rapidamente The Great Cold Distance, così come Ghost of the Sun aveva aperto Viva Emptiness: le canzoni si assomigliano parecchio nell’approccio, con voci in screaming che affiorano talvolta dall’architettura delle chitarre e dall’accompagnamento impetuoso della batteria.
Si prosegue in un alone di tormento con Deliberation, il capitolo migliore di tutta l’opera, dotato di temi che stregano l’ascoltatore e lo trascinano all’interno di una nuova City of Glass, ancor più affascinante di quella che l’ha preceduta nel 2003. L’atmosfera di massima decadenza si ritrova in Soil’s Song, pezzo che non stonerebbe sicuramente su Viva Emptiness, dato l’incedere tenebroso che assume nei suoi quattro minuti di durata.
Spetta poi al singolo My Twin riportare al presente con un andamento dinamico alternativo e accattivante: una volta ascoltato tutto l’album, sorgerà spontaneo domandarsi il motivo della scelta di My Twin come singolo precedente l’uscita dell’opera. Esso infatti, pur costituendo un episodio notevole per come è stato costruito da Renkse e Nystrom, è sicuramente il meno competitivo tra tutti gli altri di The Great Cold Distance.
I parallelismi con Viva Emptiness continuano con Consternation, brano aggressivo che segue la scia di Wealth, stupendo nella zona centrale per il suo cambiamento radicale, posato, malinconico e dai toni alquanto progressivi.

Le sezioni ritmiche tornano in primo piano con Follower, di chiara ispirazione tooliana: le influenze erano già state preannunciate dall’opener Leaders, ma qui assumono un carattere ancora più spiccato ed evidente. Attraversando la melodica ed echeggiante Rusted, una delle canzoni più irruenti e meglio sviluppate di The Great Cold Distance, l’altrettanto potente e ritmata Increase e la contorta July, provvista di variazioni pregevoli e mai semplici nella forma, si riesce a comprendere l’innovazione apportata dai Katatonia al proprio sound, sempre più personale e favoloso nella depressione che esprime. In the White fa scorrere nuovamente indietro la memoria degli appassionati fino a Viva Emptiness: completamente sommessa e basata su un’alternanza tra distensione e potenza, essa rappresenta il passo più lungo dell’album, di cinque minuti di durata. La musica dei Katatonia, esibita da parecchi anni ad oggi è difatti fondata sul rifiuto di proporre pezzi lunghi, votata quindi ad ammaliare gli ascoltatori con soluzioni geniali concentrate in periodi abbastanza ristretti.
L’alternativa The Itch e la sentita Journey through Pressure chiudono in maniera onorevole il platter, certamente simbolico e ricco di elementi celati sotto la splendida voce di Renkse, che si stampa indelebile nelle menti degli ascoltatori già dal primo confronto con esso.
Chi era già riuscito a sognare con Viva Emptiness, qui troverà la conferma della sconfinata gamma di idee in possesso della band svedese, sempre più viva nel panorama internazionale, pur proponendo una musica di morte e dolore.

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