Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Legacy/Epic
Anno: 
1976
Line-Up: 

- Phil Ehart - batteria, percussioni
- Dave Hope - basso
- Kerry Livgren - chitarra, tastiera
- Robby Steinhardt - voce solista, violino, viola
- Steve Walsh - voce solista, tastiera
- Rich williams - chitarra acustica, chitarra elettrica

Tracklist: 

1. Carry On Wayward Son (05:13)
2. The Wall (04:47)
3. What's On My Mind (03:27)
4. Miracles Out Of Nowhere (06:29)
5. Opus Insert (04:26)
6. Questions Of My Childhood (03:38)
7. Cheyenne Anthem (06:50)
8. Magnum Opus (08:27)

Kansas

Leftoverture

Nei due anni che separano Leftoverture dal debutto omonimo Kansas, la band americana ha avuto tempo di sperimentare il proprio sound nei due album Song for America, più legato alla tradizione classica già presentata nell’esordio e Masque, dotato di un feeling Pop con toni più oscuri: Leftoverture corona questo processo evolutivo racchiudendo in se stesso un timbro sì diverso da tutte le proposte del Progressive inglese dei Settanta, grazie all’inclusione di numerosi elementi AOR di notevole fattura, ma ancora connesso alle produzioni di Genesis, Yes e King Crimson in ampie sezioni.
Ciò che ha reso Leftoverture un masterpiece del Progressive made in USA è l’atmosfera creata dal sestetto capeggiato dai due fondatori Kerry Livgren (chitarra, tastiera) e Pheil Ehart (batteria, percussioni): tanta melodia e un approccio diretto fanno del quarto album di studio un capolavoro che stilisticamente fa convergere il Progressive con l’Art Rock, l’AOR con la musica tradizionale americana.

Carry On My Wayward Son è la canzone che ha reso celebri i Kansas in tutto il panorama Rock dei Settanta/Ottanta: giochi corali di grande spessore sono esaltati dalle parti di pianoforte onnipresenti in sottofondo e gli assoli di chitarra spezzano l’andamento della canzone, velocizzando il ritmo e risultando alquanto coinvolgenti; non manca l’Hammond psichedelico che si riscopre qua e là nelle sue sferzate sempre affascinanti e ben congegnate.
The Wall è un altro splendido episodio, fondato questa volta sulle sezioni di chitarra acustica ed elettrica, che trasportano e cullano l’ascoltatore verso meandri più sentimentali, derivati dai Genesis di Peter Gabriel e meno legati all’alone scherzoso della prima traccia. La voce del preparatissimo Steve Walsh sa adattarsi ad ogni registro compositivo, distinguendosi anche nella terza What’s On My Mind, bell’Art Rock disegnato dalle chitarre virtuose e dagli intrecci vocali.
Sognante ed elegante è Miracles Out Of Nowhere, in cui risorge il caratteristico violino di Robby Steinhardt largamente impiegato nel primo Kansas: tradizionale e folkloristica, essa colora di tonalità cromatiche calde l’intero disco.
Anche Opus Insert non delude le aspettative dei Rockers più accaniti delle sonorità settantiane, aprendosi in ampie parti atmosferiche ed avvolgenti, di reminescenza Yes e King Crimson.
Questions Of My Childhood sembra stringere un occhio a tutta la tradizione Folk Progressive inglese, Jethro Tull su tutti, con un violino al posto del flauto di Ian Anderson a descrivere le linee principali del brano. Cheyenne Anthem è intrisa di quelle scale e di quelle sonorità a cavallo tra Progressive oscuro e Folk elaborato e contorto nel suo aspetto stilistico.
Magnum Opus calma le acque prima di sgorgare nei soliti temi e motivi di organo e nella cupa maestosità figlia del Dark Progressive inglese e del filone italiano.

Un album seminale che può considerarsi come il progenitore di una tradizione Art Rock statunitense e di un gruppo di artisti che potrà distinguersi, contrapponendosi all’ondata inglese ma senza mai superarla nella profondità delle composizioni sperimentate ed ideate.
Il picco della discografia dei Kansas, che proporranno altri buoni lavori successivi senza però raggiungere la qualità formale di Leftoverture: forse è proprio l’inserimento di una canzone come Carry On My Wayward Son ad aver scosso la critica internazionale in favore del disco dei Kansas del 1976, ma l’intero lotto di pezzi è competitivo e ben strutturato. Un song-writing ricco, piacevole ed inusuale per l’epoca.

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