Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Gravenimage
Genere: 
Etichetta: 
SPV Records/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Roy "Khan" Khantatat - Vocals
- Thomas Youngblood - Guitars
- Glenn Barry - Bass
- Casey Grillo - Drums
- Oliver Palotai - Keyboards


Tracklist: 

1. Solitaire
2. Rule The World
3. Ghost Opera
4. The Human Stain
5. Blücher
6. Love You to Death
7. Up Through the Ashes
8. Mourning Star
9. Silence of the Darkness
10. Anthem
11. EdenEcho

Kamelot

Ghost Opera

E’ bello poter avere, da appassionati di musica, qualche certezza inamovibile, qualche band che sai non ti potrà mai tradire. Per gli ascoltatori di power metal, i Kamelot di Thomas Youngblood e Roy Khan sono questo: un cavallo su cui puntare tutto, sempre.

Dopo gli incredibili exploits della coppia di album incentrati su una rivisitazione del Faust di Goethe, Epica e The Black Halo, i nostri dimostrano ormai di aver fatto della forma “concept album” un elemento imprescindibile del loro stile, e così anche questo Ghost Opera si presenta così incentrato sulla storia di una cantante d’opera che subisce una violenza il giorno stesso del suo grande debutto. Un racconto impegnativo, ma che per tipologia rientra in quelle figure “tormentate” che tanto piacciono ai nostri, che come sempre lo sviluppano più su un piano interiore di analisi psicologica che su uno narrativo.
Musicalmente Ghost Opera si mostra tutto sommato in linea con il percorso cominciato da “The Fourth Legacy”, e che, con il suo sapiente incrocio di elementi goth, sinfonici e prog su una solida e melodica base power, ha ormai raggiunto una forma compiuta, portando ad un vero e proprio score-metal, anche se quasi per nulla collegato all’esperimento tentato dai Rhapsody, sia per contenuti che per suono.

Ciò che si poteva temere, ossia un rammollimento del spund dei nostri in funzione di un prodotto più assimilabile e facilmente fruibile, non è accaduto, e Thomas Youngblood ha registrato le sue chitarre con il giusto piglio, e lo stesso discorso vale per la batteria di Casey Grillo.
E’ anche vero che le canzoni si presentano più tiepide e lineari rispetto alla magniloquenza dei pezzi di The Black Halo, ma sembra più un passaggio naturale che voluto. Un po’ più difficile da digerire è la mancanza di vere e proprie “hit”, come poteva essere “The Haunting” per The Black Halo, ad eccezione della travolgente “The Human Stain”, il cui ritornello dimostra come la vena compositiva di Youngblood non abbia perso la sua genialità.
Ad ogni modo il livello medio dei pezzi è alto, mettendo in risalto una cura ancora più maniacale negli arrangiamenti e nella cura delle composizioni al di fuori di quelli che sono gli strumenti principali, con pezzi che brillano per l’intelligente unione di elementi operistici ed altri più inusuali, come “Love You To Death”, che vede l’utilizzo di strumenti, o quanto meno sonorità tipiche dell’estremo oriente, senza che la cosa appaia fuori luogo, come spesso accade.
Infine è da applaudire ancora una volta la prestazione di Roy “Khan” Khantatat al microfono, che ormai merita un posto nell’Olimpo canoro metal (e non solo) per il livello di pathos che riesce a trasmettere con la sua voce, senza la quale i Kamelot, azzardiamo, sarebbero finiti.

Ghost Opera dunque, senza arrivare alle vette dei precedenti lavori, si attesta come una delle migliori uscite dell’anno, sottolineando l’act americano-norvegese come colonna portante dell’universo power metal attuale.

“So it hurts to
Be alive, my friend
In this masquerade where
All one day must die”

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