Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Hydra Head Records
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Justin Broadrick – Voce, Chitarra, Basso, Programming
- Ted Parsons – Batteria, Percussioni
- Diarmuid Dalton – Basso (tracce 1, 3, 4 e 8)
Ospiti:
- Paul Neville – Chitarra in “Man/Woman”

Tracklist: 


1. Your Path to Divinity (09:14)
2. Friends are Evil (09:43)
3. Tired of Me (09:31)
4. We All Faulter (06:56)
5. Walk on Water (11:23)
6. Sun day (10:03)
7. Man / Woman (09:29)
8. Guardian Angel (08:06)

Jesu

Jesu

And all the stones I've thrown,
they come back twice as strong.
And all the stones I've thrown,
they tell me nothing lasts.

La pesantezza degli Earth, la sognante melodiosità degli Slowdive, l’efficacia sonora dei Godflesh, la brutalità pensante dei Neurosis, ma soprattutto una personalità unica, inimitabile, sempre sfacciatamente Broadrick, già inconfondibilmente Jesu.
Questi sono gli elementi fondanti di questo debutto omonimo dell’allora neonato progetto di Justin Broadrick, un full-length che raccoglie le canzoni, gli umori, le tendenze musicali, le sensazioni che hanno caratterizzato il musicista di Birmingham tra il 2002 e il 2004, periodo immediatamente successivo all’implosione dei Godflesh, band alla quale il nome di Justin era legato indissolubilmente fin dal 1988.

Una ricerca melodica sontuosa, poco appariscente ad un ascolto superficiale ma in realtà caratterizzata da toccante sensibilità e notevole profondità, segna le otto tracce di questo disco, un unico coacervo di chitarre pesantissime ed opprimenti, velate da uno sciame di droni e sostenute da un basso roboante d’oscurità; il suono è reso ulteriormente denso da tastiere cariche di vibrazioni, mentre la batteria lenta e possente di Ted Parsons scandisce i dolorosi ritmi su cui volteggia, semi-nascosta dalle sovraincisioni chitarristiche, la voce monotona, iper-effettata e angosciata di Justin, esalante liriche pregne di nichilismo e disillusione, combinazioni semplici di parole, quasi dei mantra purificatori, per esorcizzare il mal di vivere.
L’eredità dei Godflesh sopravvive nei frangenti più metallici, in cui ritmiche e riffing si muovono con robotico, meccanico incedere (l’incipit dell’amarissima “Friends Are Evil”, la sezione centrale di “Man / Woman” fra gli esempi più eclatanti), ma in generale Jesu vive di sensazioni decisamente umane ed intime, lontane da qualsivoglia artificiosità, pur avendo un suono lancinante e tagliente, distorto e massiccio: forse il miglior esempio di ciò che Jesu vuole essere è la post-ballad “Tired of Me”, aperta da un etereo sintetizzatore e condotta da chitarre struggenti ma grevi, un brano in cui tonnellate d’eco non riescono a nascondere la fragilità insita nei flebili vocalizzi ricolmi di un Justin sconsolato, in rotta con sé stesso prima ancora che con il resto del mondo.

Più rocciosi i brani posti in apertura, con “Your Path to Divinity” ad accompagnare la già citata “Friends are Evil”, per un totale di venti minuti ai limiti del collasso, tra percussioni cadenzate, voci inerti, tastiere di nera psichedelia e sprazzi di luce mescolati ad un oceano di tenebra; la quarta “We All Faulter” è invece il brano più breve del lotto ('solo' sette minuti), ma non se n’accorge nessuno: l’andamento del ferale basso di Diarmuid Dalton e gli scomodi lamenti della chitarra di Justin costruiscono un’ambientazione ipnotica che cattura e coinvolge, trascinando l’ascoltatore nel grigiore sommessamente cantato da Broadrick.
La mastodontica “Walk on Water” apre una seconda metà del disco che, seppur giocando sempre su toni dolorosi, risulta mediamente meno desolata, grazie al balenare di alcuni attimi di speranza: addirittura, “Sun Day” sembra voler dare finalmente respiro al disco, proponendo anche un’introduzione puramente Ambient, ma è un’illusione vana oltreché una delusione cocente: lo dimostra la seguente, violenta, “Man / Woman”, unica traccia a proporre un cantato roco ed apocalittico, d’estrazione estrema, su uno sfondo di chitarre particolarmente insistente e torvo, ricreante un’atmosfera deformata dalla claustrofobia: è il momento più scostante e disturbante del disco, una fase di disagio che lascerà strascichi indelebili nell’ascoltatore, nonostante la conclusiva “Guardian Angel” tenti di mediare riproponendo con finta disinvoltura lo stile d’inizio disco.

Destreggiandosi tra Post-Rock, Doom Metal, Drone e Industrial, “Jesu” è un disco che ha nettamente stupito, segnando la rinascita musicale di Justin Broadrick dopo il triste epilogo degli storici Godflesh e presentando il suo nuovo progetto come uno tra i più singolari, sperimentali e visionari progetti del Metal del nuovo millennio.
Ma ancor più delle intuizioni artistiche, in “Jesu” conta l’impatto emotivo: dietro le sfibranti muraglie sonore di distorsioni, riverberi e drones, celata sotto i poderosi colpi di batteria, nascosta nella voce alterata dal delay, in questo album si può scovare, nuda, cruda e scossa, l’anima di Broadrick.
Personale, pesantissimo, straziante.

It's inside of me.
It's what I'll always be.
It's inside of me,
and it's clear to see.
You're my heart.

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