Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Roberto De Medici
Etichetta: 
Sub Pop
Anno: 
2011
Line-Up: 

- J Mascis - voce, chitarra
- Kurt Vile - voce, chitarra, piano, optigan
- Pall Jenkins, voce, lap steel, piano, optigan
- Kevin Drew - voce, clarinetto
- Ben Birdwell - voce
- Suzanne Thorpe - flauto
- Sophie Trudeau - violino
- Kurt Fedora - chitarra
- Matt Valentine - chitarra

Tracklist: 

1. Listen to Me
2. Several Shades of Why
3. Not Enough
4. Very Nervous and Love
5. Is It Done
6. Make It Right
7. Where Are You
8. Too Deep
9. Can I
10. What Happened 

J Mascis

Several Shades of Why

 

Sino ad oggi era francamente difficile immaginare i Dinosaur Jr. senza il muro sonoro delle chitarre che li aveva resi tanto apprezzati e imitati. J Mascis riesce invece a spogliarli completamente, dimostrando che oltre la potenza, la complessità e l’efficacia dei suoi assoli ci sono testi, melodie ed atmosfere che non hanno nulla da invidiare agli ultimi lavori di Neil Young, al quale è stato spesso accostato. Come già Eddie Vedder aveva fatto coi Pearl Jam nel 2007, l’ex frontman dei Dinosaur Jr. si libera dalle dolci zavorre delle linee di basso di Barlow e dei colpi decisi della batteria di Emmett Jefferson 'Patrick' Murphy, avviando un processo di catarsi e ripulitura al quale sopravvivono le belle melodie quasi sussurrate, la voce che scivola su accordi semplici ed efficaci, la pulizia del suono. Le collaborazioni di Kurt Vile, Ben Bridwell (Band of Horses) e Kevin Drew (Broken Social Scene) impreziosiscono poi l’album e lo attualizzano senza troppi sforzi.

La critica è concorde nell’incanalare questo nuovo bel lavoro ad un filone quasi folk del cantautorato statunitense. In realtà termini come “folk”, “cantautorale”, sembrano quasi riduttivi; di atmosfere folk non è che ce ne siano poi così tante, i paesaggi attraverso cui immaginiamo muoversi le melodie di “Listen to Me” o “Where Are You” non sono né il New Jersey di Springsteen, né l’arioso Canada di Young, ma un piccolo appartamento di provincia, accogliente, a tratti malinconico e desolato.

La prima cosa di cui ci si accorge ascoltando Several Shades of Why è la disarmante semplicità che accoglie l’ascoltatore sin dalla prima traccia; Listen To Me è un complesso di sincere, intime frasi d’amore ("Listen to me, I can't wait to see you, I can't wait to be you") che scorrono leggere sul familiare timbro di voce di Mascis. La maliconia embrionale della prima traccia esplode poi nel testo e nei definiti arpeggi di Several Shades of Why ("Why should I have time an answer? Several shades of why I can't go back").
 Not Enough costituisce probabilmente uno dei motivi per cui l’album viene accostato tanto facilmente ad un rock di matrice folk; il tamburello che ci accompagna sino alla fine, la voce femminile di sottofondo, l’atmosfera più rilassata, ne sono la prova tangibile. Very Nervous and Love torna invece alla corda malinconica, ricordando vagamente “Alone” di “Hand It Over” del 1997. La semplicità con cui qui Mascis continua a dipingere i suoi affreschi si manifesta ora in modo completamente evidente per l’uso quasi minimale che viene fatto di tastiere e chitarre secondarie, con un timido banjo che da lontano si avvicina alla chitarra principale.
Is It Done non è memorabile, ma viene impreziosita dall’irrefrenabile voglia di Mascis di distendere un assolo sporco, preciso e melodico. Il gioco è fatto, la distorsione è stata introdotta, e Make It Right è una rilassata melodia che si stende per 3 minuti e mezzo di incastri sonori tra una chitarra acustica e un paio di tracce distorte in sottofondo. 
Where Are You è forse il momento più riuscito dell’album, la melodia della voce è orecchiabile, ritmica, semplicemente perfetta, e si alterna ad un riff elettrico che impreziosisce il tutto conferendo alla canzone un taglio più stimolante.
Too Deep è posizionata nella parte finale del lavoro, ed è una scelta felice; il movimento delle dita di Mascis sull’acustica è ipnotico e tiene fermo l’ascoltatore lì dov’è: 2 minuti di parziale incoscienza sonora che fungono quasi da anticamera alla esasperante tristezza di Can I ("Again I'm lonely lonely lonely all the time, can I feel the way but there's no peace to find"). Qui le posizioni si invertono, J Mascis mischia le carte, e mentre la chitarra elettrica spara malinconici accordi minori, quella acustica vi disegna un elengantissimo assolo. 
What Happened è un tranquillo pezzo pop, che scorre senza grandi sussulti, forse il pezzo meno interessante dell’album, che però ben si presta alla chiusura per il finale in crescendo, le chitarre che si sovrappongono tra loro e l’assolo di commiato che J Mascis generosamente ci regala. 

Il capellone induista scompare così, nascosto tra le sue distorsioni, quasi a voler ribadire che sì, la semplicità affascina e conquista, ma il suo diamante prezioso sarà per sempre una cattivissima Fender Jazzmaster che forse, in fondo al cuore, già rimpiange.

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