Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2004
Line-Up: 

- Anders Fridén - voce
- Jesper Strömblad - chitarra
- Björn Gelotte - chitarra
- Peter Iwers - basso
- Daniel Svensson - batteria


Tracklist: 

1. F®iend
2. The quiet place
3. Dead alone
4. Touch of red
5. Like you better dead
6. My sweet shadow
7. Evil in a closet
8. In search for I
9. Borders and shading
10. Superhero of the computer age
11. Dial 595-Escape
12. Bottled
13. Discover me like emptiness

In Flames

Soundtrack to Your Escape

Avete tutto il diritto di essere delusi se un gruppo che apprezzavate per un certo trademark d’improvviso cambia nettamente genere, e soprattutto si va a perdere lo stile che un tempo si apprezzava. Ed in fondo ci sono band, come gli Iron Maiden, che hanno mantenuto il loro genere per tanti anni e si sono costruiti la loro solida fan-base in tal maniera.
Però, ogni musicista è per definizione un libero artista, con tutto il diritto di seguire la strada che sceglie, di fare quel che sente di voler fare. Nessuno può pretendere una determinata visione musicale da un qualsiasi musicista, che ha il sacrosanto diritto di dedicarsi a ciò che vuole esprimere in musica. Con Soundtrack to Your Escape gli In Flames hanno infatti letteralmente diviso pubblico e critica, fra chi ha apprezzato la nuova pietanza e chi invece continua a sognare ingenuamente che all'improvviso si sveglino e dicano "oggi torniamo alle origini". La cosa ironica è che in Soundtrack to Your Escape rispetto a Reroute to Remain c'è stato pure un ulteriore cambiamento: la melodia assume un ruolo ancor più determinante, arrivando spesso a trasformare le chitarre in muro sonoro collegato con piccoli effetti elettronici di contorno, mentre Fridén esprime tutta la sua sensibilità vocale, mantenendo il suo repertorio di effettistiche. In altri punti invece ci sono iceberg vaganti di rabbiosità thrasheggiante, tuttavia a volte derivata più dal metalcore americano (che a Strömblad piace molto, seguendo le interviste) che dalle “origini” degli In Flames, nonostante certi spunti con ritmiche più marcate siano intrinseci al gruppo; questi elementi riescono a volte piattini agli In Flames, la cui anima è più basata sul lato melodico (che è infatti quello riuscito meglio).

Come suggerito dai colori e dai temi delle copertine (anche del singolo The Quiet Place) il sound è generalmente più oscuro e corposo, con una sensibilità particolarmente moderna e pensante al futuro prossimo. Per dirla in parole povere, l'album continua sull'onda dell'Alternative Metal, ma diluendolo in atmosfere e umori più industriali e addizzionandoci molti spunti thrashy filtrati attraverso la loro ottica attuale alternati a sequenze di chords ripetute e abrasive, poco propense ai riff da prima punta (e dimenticatevi del lato solistico) e molto al sostegno distorto ribassato alla melodia vocale o all'atmosfera costruita nel complesso e maggiormente macchiata d'elettronica; il tutto con uno stile ancora una volta non molto innovativo, ma personale. Il problema è che Soundtrack to Your Escape naviga fra i due diversi stili (l’americano e lo svedese) senza connettori comuni e con una parvenza troppo sbrodolata (il mix è riuscito meglio nella variante dei seguaci Soilwork con Figure Number Five nel 2003 col quale a loro volta hanno seguito una strada in ogni caso ora propria, ora clonata), a volte c’è ancora troppo sentore di dejavù, alcune idee mancano di ispirazione o di maggior sviluppo e la produzione è nuovamente pastosa e confusionaria, il che spesso ha influito negativamente sui giudizi della critica nei confronti dell’album. Soprattutto nella batteria mal mixata e poco incisiva questo aspetto si nota. Fridén come prestazione vocale ormai è alla frutta: il suo screaming è troppo spento e anche se non lo fosse non sarebbe particolarmente idoneo ad adattarsi alla perfezione a molte delle sonorità dell’album, per cui spesso si sente il bisogno di un maggior numero di clean vocals come nel progetto Passenger, dove difatti la sua prova canora è nettamente migliore. A volte per contrasto con le urla si lascia andare in climax sentimentali vagamente affini a certo emocore più duro e diretto, ma non c'è mai la stessa ispirazione e un'interpretazione altrettanto flessibile. Quindi, nè sul piano più duro nè su quello più melodico la prestazione di Fridèn convince al 100%.

Ma andiamo con ordine. Come già detto, gli svedesi si sono evoluti ulteriormente, continuano comunque ad orbitare attorno alla melodia: partendo con F(r)iend però si ha una sensazione differente, il brano infatti è uno dei più rabbiosi della loro carriera (anche se non uno dei più pesanti), una bomba Thrash/Death dalle ritmiche simil-Killswitch Engage e timbri chitarristici leggermente influenzati dai "djent" dei Meshuggah.
I chorus orecchiabili del precedente album sono totalmente scomparsi in favore di uno screaming particolarmente arrabbiato.
Di contrasto però, ecco il singolo, ovvero The Quiet Place: inizia con un tappeto di effetti elettronici che vengono poi squarciati da uno splendido giro di note di chitarra in lontananza, che introduce lo scoppio del resto del gruppo e il canto di Anders Fridèn, questa volta quasi solo in pulito; l’assolo viene ridotto ad un ponte, per non spezzare l’atmosfera e anzi favorirla. Lo stile è nettamente differente da quello di Reroute to Remain, The Quiet Place è più oscura e intrigante, anche se ugualmente molto melodica. E qui molti dei delusi dai nuovi In Flames partirono subito con i veleni, accusando la canzone di essere un brano alla Linkin Park fatto per scalare l'hit parade (nonostante abbia una classe anni-luce al di sopra dei Linkin Park e su MTV non sia mai passata, senza contare le coordinate sonore ben diverse: per qualche motivo l'ambiente metallaro ha sviluppato l'erroneo pregiudizio che melodia = nu metal).
Dead Alone
, invece, è un po’ meno oscura, ma più malinconica, esclusi i riff altalenanti fra il catchy totale e il quasi-thrasheggiante, mentre il timido assolo sembra più sereno.
Sulla successiva Touch of Red assistiamo ad un inizio che ci lascia davvero perplessi, una marcia caustica di industrial/thrash. Peccato che poi sfoci in uno dei soliti banali ritornellini. E mentre l’assolo è quasi uguale a quello di Dead Alone, il brano è nel complesso un pastone mal incollato, che se fosse stato composto ponendo una differente concezione, avrebbe sortito risultati migliori.
Like You Better Dead ritorna nel complesso di Dead Alone con un riff principale più radio-friendly; in alcuni punti sembra un pastone poco riuscito come Touch of Red ma l’arrangiamento è in questo caso migliore, più compatto, espressivo (soprattutto nel chorus) e orecchiabile.
My Sweet Shadow
è uno dei brani in assoluto migliori dell'album se non il migliore, con riff furiosi e particolareggiati, serie complessa di utilizzo della tecnica del palm muting, un Anders Fridèn che alterna parti cupe e depresse ad altre più scatenate ed effetti vari che alimentano l'atmosfera del brano, emotiva, nevrotica e post-industriale.
Il diminuendo in chiusura serve a introdurre Evil in a Closet, un'altra ballata dopo Metaphor nel precedente disco che, seppur dolce ed evocativa, lascia una sensazione molto banale e melensa, come una copia mal riuscita delle peggiori ballate emo. Rispetto a Metaphor, Evil in a Closet è più atmosferica, è suonata con chitarre elettriche non distorte invece che acustiche e nel chorus introduce la distorsione e lo scream emotivo di Anders. Può essere piacevole da ascoltare e apprezzabile, ma è un brano dozzinale che molti gruppi sanno fare anche meglio.
Proseguiamo con In Search for I, che è in effetti eccezionalmente il pezzo dell’album più vicino al passato più melodeath della band, con ritmiche che richiamano, per esempio, Morphing into Primal di Whoracle. Si potrebbe dire che è proprio quel brano, ma inserito in Soundtrack to Your Escape e sporcato delle sue sonorità, tranne per l’assolo, più moderno e lontano da quei tempi. Ha qualche effetto discreto e interessante, ma l’amalgama alla lunga può stancare.
Borders and Shading
è un brano diretto, tecnicamente parlando di una semplicità disarmante, interamente focalizzato su di un concetto di moderna melodia supportata dal muro sonoro e dalle atmosfere elettroniche inquiete di contorno, senza fronzoli e minestroni vari, e per questo supera in qualità molti dei prani precedenti. Il tenue assolo seguito dall'intensa batteria di Svensson che scandisce il finale la chiudono con molto impatto, dato che viene usata la tecnica del ripetere il riff con tutte le note alzate di un poco (accadeva lo stesso, per esempio, in Only for the Weak sempre dopo l’assolo).
Superhero of the Computer Age è più energica e veloce, ciò non impedisce di rendere il tutto molto orecchiabile. È il brano in cui Fridén forse stona più che negli altri, il che toglie punti al mordente dell’esecuzione.
Ora tocca a Dial 595 - Escape che di nuovo non aggiunge molto altro rispetto ad altri brani, ma che propone alcuni giri di sottofondo elettronici fra i più azzeccati nel tenere su le atmosfere.
Concludiamo con la meccanicità di Bottled, brano abbastanza spento rispetto ai migliori dell’album. Il suo problema però è che non conclude un bel niente, lascia una sensazione di incompleto alla sua fine, neanche con lo strano effetto di sottofondo appena dopo la chiusura della canzone. Indipendentemente dal suo risultato, sembra essere decisamente più consona a chiudere il discorso dell’album la melodia di Discover Me Like Emptiness, presente come bonus track nell'edizione digipack e nella release giapponese; è un misto di arpeggi puliti con Anders che sussurra placidamente, qualcosa di vicino ad Evil in a Closet, e intensi chorus emotivi accompagnati da un atmosferico giro di sintetizzatore in lontananza, dove le chitarre tessono timide melodie (soprattutto l'assolo si adatta a questa definizione) e uno strano ma suggestivo effetto chiude il brano. Probabilmente è di una semplicità tecnica ancora più disarmante che in Borders and Shading, e forse è anche più banalotta, ma come in quel brano il tutto risulta ugualmente efficace, coinvolgente ed emozionante, ovviamente a meno di non apprezzare queste sonorità.

In conclusione, cosa si può dire di Soundtrack to Your Escape? È vero, il cambio di genere e anche di stile netto ha dato fastidio, è stato incoerente e disarmante, ma ormai questa è la nuova direzione assunta dagli In Flames e abbandonarla sarebbe ancora più incoerente, quasi ridicolo. Lo stile nuovo è comunque personale, anche se non del tutto originale, ancora con quel sentore di uguaglianza dalla scena alternativa pesante americana non sufficientemente miscelata alla sensibilità scandinava; questo cambio è stato dovuto a scelta personale, non certo a voglia di fare soldi come alcuni dicono, basta analizzare la sostanza In Flames e notare le ampie differenze in musicalità e attitudine da altri gruppi ben più bistrattati e notare come gli In Flames sono sempre andati per la loro strada, facendo quel che sentivano di fare. Se si fossero venduti, perché hanno fatto brani come F(r)iend, decisamente poco commerciali? Perché sono cambiati ulteriormente, e quindi rischiando ancora, invece di stabilirsi attorno a qualcosa che avesse già dato loro in passato garanzie di succeso? Infine, cose come le foto promozionali, i nuovi singoli o la raccolta Best Flames sono affare della Nuclear Blast, già famosa come gallina dalle uova d’oro del metal, e non c’è certo bisogno di rammentare che sono le label a decidere cosa fare dei nomi dei gruppi. Pensateci su e mettete da parte frasi come "ci hanno tradito", perché la loro è una scelta personale, non hanno fatto alcuna promessa di matrimonio nei vostri confronti o di "eterna riproposizione di un genere". Esiste la libertà d'espressione, o si accetta la nuova direzione degli In Flames, eventualmente criticandola obiettivamente per le proprie pecche intrinseche che per partito preso, o semplicemente si passa ad altro, non c’è bisogno di unirsi alla folla di detrattori che ne ha dette di tutti i colori nei loro confronti auspicando un The Jester Race parte II. Anzi, lode al coraggio di osare e sperimentare, anche se il risultato non è efficace come sperato.

Soundtrack to Your Escape ha ancora il potenziale, come già era per Reroute to Remain, di essere un capolavoro, ma numerosi difetti (molti ereditati da Reroute to Remain) ne impediscono il raggiungimento, e così come l’album può essere salvato o anche premiato un pochino, questi stessi difetti formano abbastanza argomentazioni da bocciarlo; poi, ovviamente, influiscono di molto i gusti della maggior parte degli ascoltatori nei confronti di certe sonorità, che a volte sarebbe bene fossero più aperti (e ancora, pretendere il ritorno alle sonorità delle radici è solo un punto di vista egoistico, gli In Flames hanno creato con quest'album la musica che volevano loro, non i fan). Il punto di forza dell’album è probabilmente la personalità del songwriting e delle atmosfere, senza le quali Soundtrack to Your Escape sarebbe stato irrimediabilmente un pessimo riciclo di stilemi altrui senza capo né coda. È questa stessa personalità ad avere il fascino maggiore in questi In Flames, ed è essa stessa l’aspetto più intaccato e apparentemente anche contraddittorio nell’album, visto e considerato quanto si è detto sulla mancanza di innovazione, sull’ondeggiare senza connessione di stili diversi, sulla sensazione di surrogato di alcuni punti.

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