Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Anders Fridén - voce
- Jesper Strömblad - chitarra
- Björn Gelotte - chitarra
- Peter Iwers - basso
- Daniel Svensson - batteria
 

Tracklist: 


1. The Mirror's Truth – 2:58
2. Disconnected – 3:36
3. Sleepless Again – 4:09
4. Alias – 4:49
5. I'm the Highway – 3:41
6. Delight and Angers – 3:38
7. Move Through Me – 3:05
8. The Chosen Pessimist – 8:13
9. Sober and Irrelevant – 3:21
10. Condemned – 3:34
11. Drenched in Fear – 3:29
12. March to the Shore – 3:26

BONUS TRACKS:
13. Eraser – 3:18
14. Tilt – 3:45
15. Abnegation – 3:43

In Flames

A Sense of Purpose

Sembra banale da dire ma ogni lavoro degli infiammati è sempre un motivo di discussione all'interno della loro discografia: dischi come Reroute to Remain e Soundtrack to Your Escape in questo senso furono nette e coraggiose svolte, ma per contro suonarono indigesti a molti fan per il rilevante cambio di stile e lo sperimentare sonorità poco congeniali ai loro gusti - al contempo, il songwriting si mostrava discontinuo, alternando pezzi gustosissimi ad altri sbrodolati e grossolani. Invece Come Clarity ha riunito in un colpo sia le sonorità moderne che il binomio potenza/impatto, accontentando molti di coloro che erano rimasti scontenti. D'altro canto, non tutti sono rimasti entusiasti dal disco del 2006, vedendoci una spersonalizzazione ed un appiattimento dello stile degli In Flames, contaminato eccessivamente dalle influenze di certi gruppi americani che, ironicamente, furono a loro tempo influenzati anche da alcuni stilemi degli svedesi.
I più maligni diranno che sono "modaioli", ma sembra molto più probabile che semplicemente gli In Flames si siano lasciati impressionare positivamente da certe sonorità e abbiano deciso di "farle proprie" semplicemente perché... gli piacevano, e piacciono tutt'ora, molto. Più che Anders (o qualcun'altro) che arriva in studio e dice ai compagni "oh ragazzi, questa musica è popolare e vende davvero tanto, suoniamola anche noi che otterremo un sacco di successo!" si tratterebbe, insomma, di Anders che arriva e dice "oh ragazzi, questa musica è una figata, che ne dite se ne traiamo spunto?".
L'unica smentita ci potrebbe essere solo e soltanto se nei prossimi mesi ci sarà un boom del genere X di cui casualmente ritroveremo alcuni elementi nel prossimo disco degli In Flames, allora ci rimangieremo molte argomentazioni poste a difesa del gruppo. Ora, però, non si può togliere che i membri del gruppo abbiano più volte dichiarato nelle interviste di apprezzare molto di per sè la proposta di determinati gruppi (a meno che abbiano raccontato frottole con faccia un po' tosta) e che la loro scelta stilistica appaia davvero il frutto di una scelta consapevole che non una mossa dettata da esigenze di mercato. Ed è bene non fidarsi tanto di eventuali accuse di "commercializzazione", visto che spesso sono lanciate in maniera irrazionale e pregiudizievole, priva di reale ponderazione; d'altronde li si accusava di essersi "venduti al nu metal" già nel 2002 con Reroute to Remain, quando quel disco stilisticamente con quel genere c'entrava ben poco. Quel che però è vero e che gli In Flames, affrontando questo percorso, sembravano avere perso parte della propria personalità, diventando sempre più derivativi non tanto abusando di influenze, ma proprio modellandosi su di uno stile che appare ricalcato su altri al di là dell'Atlantico. Il maestro non che vede del potenziale in alcune idee dell'allievo, ma che lo imita, per usare una metafora. Questa strada potrebbe quindi condurre verso un'opera di genere piacevole ma priva di idee nuove, che tuttavia sicuramente farà felici tutti i fan del gruppo che volevano determinate sonorità e sono stati così accontentati.
Qualcuno penserà che tutto ciò è irrilevante, basta che il disco "spacchi" e sia bello orecchiabile: anche queste considerazioni sono vere, ma elogiare acriticamente i propri idoli può essere errato quanto il buttare nel cestino a priori un qualsiasi gruppo senza cercare elementi positivi in quel che viene proposto. Così noi scegliamo la via di mezzo, anche se questo potrebbe voler dire far discutere sia chi vuole vedere gli infiammati costantemente elogiati per ogni loro mossa sia chi li vorrebbe vedere stroncati freddamente.

Questa lunga introduzione ci presenta dunque il nuovo album degli svedesi, cioè A Sense of Purpose. Questo disco è legato a Come Clarity, di cui è il successore e di cui approfondisce il discorso (nondimeno da quando la formazione cambiò nel 1998 i dischi degli In Flames si sono sempre susseguiti "a coppie"). In realtà va ricordato anche che, pur ereditandone tutta l'attitudine per l'impatto e la melodia, questo lavoro trova anche diversi spunti di collegamento con il passato del gruppo. In maniera duplice, ritrovando sia alcune sonorità maggiormente congeniali all'epoca di Reroute to Remain, sia recuperando un piglio heavy-oriented che, ora nei riff, ora in un assolo, può far riecheggiare il verso della triade Whoracle-Colony-Clayman, in maniera maggiore o minore da ciascuno dei tre album a seconda del momento. Ciò lascia un po' di perplessità, visto che a poco servirebbe iniziare a tornare indietro di anni dopo cambiamenti così netti come quelli di inizio decennio.
Questi spunti, comunque, sono secondari e per di più ricordano anche certo moderno metalcore vicino all'heavy in diversi frangenti, sempre per tornare al discorso che il gruppo si è "modernizzato" nello stile.
In ogni caso, l'attitudine di questo disco sembra opposta a quella dei lavori del 2002 e del 2004: dove essi osavano sperimentare l'introduzione di nuove soluzioni, col rischio di fare il salto più lungo della gamba, in questi ultimi In Flames si assiste invece ad una scelta più conservativa. La band di Gothenburg opta per una sosta in cui rimischiare le carte in tavola, rimettere insieme un po' di pezzi e consolidare il risultato ottenuto. Come se si stesse chiudendo un circolo, evitando novità o innovazioni per assestarsi sulle sonorità su cui era già impostato l'album precedente e riprendendo qualcosa di più "tradizionale", anche magari a costo di sembrare auto-indulgenti. Questa scelta ricorda a sua volta quella effettuata dai cugini Dark Tranquillity, e potrebbe fungere da trampolino di lancio stabile per futuri cambiamenti - o per riscaldare la stessa minestra, visto anche che gli anni per i musicisti svedesi stanno passando, ma chi vivrà vedrà.
Un pizzico di rammarico viene poi dal notare che l'elemento tastieristico ed elettronico, seppur effettivamente mai stato predominante o essenziale negli In Flames, è ormai quasi del tutto rigettato.
A Sense of Purpose si mostra al tempo stesso più e meno prevedibile di Come Clarity. Più, perché permane una certa scontatezza stilistica, non ci sono sorprese nel notare i soliti riff potenti ma melodici, i ritornelli easy-listening e le atmosfere energiche ma permeate di una sensibilità intimista ed emotiva. Meno, perché il songwriting sembra anzi essere più compatto e sicuro, risultando anche più assimilabile e riuscendo nell'unire con sempre più sicurezza sonorità americane e scandinave (pur risultando ancora oscillante verso la derivatività diverse volte); tuttavia, pecca dal punto di vista delle "hit", che svettavano maggiormente proprio nella release del 2006. Il disco è melodico e trascinante come sempre quindi, ma non ha nulla più da dire nella scena, rappresentando un'uscita prevalentemente per i fan del gruppo, a cui lo consigliamo in tutta franchezza perché, se già avevano apprezzato il precedente disco, avranno ancora di che essere soddisfatti.

Il primo brano è il singolo The Mirror's Truth, un heavy/core che fra riff e assoli che uniscono un piglio di stampo classico a venature ben più moderne suona davvero orecchiabile e ricca di energia, seppur sappia abbastanza di già sentito e scorra subito senza incidere molto. Disconnected, molto thrashy, combina sia sguardi a Come Clarity e al lato più ruvido dei due precedenti dischi (ma anche la vena melodica che fa emergere refrain ultra-orecchiabili da un impianto sonoro pestato) che alcuni tratti degli aspetti più martellanti del passato del gruppo. Una brevissima introduzione acustica segna l'inizio di Sleepless Again, un'ulteriore miscela di riff duri e rocciosi con spunti fortemente melodici, dai tratti emozionali che tingono la canzone di momenti suggestivi, come nel piccolo assolo, semplice ma sentito. Da questa emotività prende le basi Alias, che però risulta meno spontanea e più forzata ad ottenere un certo risultato espressivo - più nel chorus leggermente derivativo che nel riff principale. Si fa notare un intermezzo acustico che, un po' manieristicamente, riporta alla mente certi passaggi di Whoracle. Il riff maideniano di I'm the Highway sprigiona carica ed incitamento da tutti i pori, mentre il resto del brano tende ad avvicinarsi maggiormente ad una via di mezzo fra RTR e CC. Il ritornello suona curioso, con Fridèn che sovrappone il suo canto semi-urlato ad un altro pulito fortemente segnato da un'accentazione acuta e particolare, mentre l'assolo (che segue un bridge che fa molto groovy thrash) riporta alla mente certi momenti su Clayman. Delight and Angers si scompone fra ritmiche martellanti alle volte con un retrogusto oscuro nell'atmosfera, riff vagamente richiamanti Borders and Shading e brevi arpeggi di chitarra clean inseriti qua e là. Non dice molto di più rispetto a quanto già ascoltato fino ad ora, ma se fino ad ora il disco vi ha piacevolmente preso allora questo brano si va ad aggiungere al resto del repertorio di melodie e riff d'impatto. Più fuori dagli schemi il groove/alternative di Move Through Me, il cui riff comunque la fa sembrare quasi un seguito di Leeches, mentre Anders si fa particolarmente vissuto riallacciandosi pure, in parte, a certe linee vocali di STYE, ricordato anche da alcune piccole atmosfere di tastiera inserite qua e là. The Chosen Pessimist inizia come una ballata placida e mesta, con le chitarre che dipingono piccole melodie nostalgiche ed intrecciano brevi arpeggi non distorti. Tutto ciò viene dilatato e ripetuto fino a durare diversi minuti, durante i quali si aggiungono prima la batteria e poi il canto malinconico di Anders. Ne consegue che la canzone in tutta la sua interezza dura ben 8 minuti, ma non vi siano fraintendimenti, non è neanche lontanamente una suite articolata. L'esplosione di chitarre distorte finali, dai riff in questo caso doom-oriented, fa ricordare lo schema abbastanza preconfezionato e di maniera di Evil in a Closet (cioè: arpeggi clean, melodie timide ed evocative, Anders malinconico, climax finale), tranne per il fatto che le distorsioni arrivano questa volta solo al termine del brano e non due volte con in mezzo un mini-assolo. Per contro Sober and Irrilevant torna su stilemi ben più pestati e martellanti, una sfuriata thrashy/core che anche se sfocia ugualmente, un po' prevedibilmente, in un chorus molto melodico rimane comunque uno dei brani più frenetici del disco. Si prosegue quindi con l'americaneggiante Condemned, inizialmente molto cupa con i suoi riff bassi e sincopati ma che poi sfocia in un ritornello abbastanza blando; l'incalzante Drenched in Fear che naviga fra spunti metalcore ed altri più heavy, anch'essa senza aggiungere molto ai binari consolidati del disco; ed infine la rocciosa March to the Shore che ricorda Versus Terminus in una versione leggermente più stemperata. L'album si conclude praticamente per inerzia senza dire null'altro di diverso dal resto della tracklist, ma nell'edizione giapponese sono presenti tre bonus tracks già rilasciate in precedenza nel cd singolo di Mirror's Truth: se Eraser invece varia leggermente gli schemi, suonando molto americana, con anche alcuni relativi cenni che rimandano al lato più thrashy di Reroute to Remain (sempre immergendo il tutto in un contesto di forte melodia), per contro alla lunga appare scontata e leggermente monotona. Tilt ritorna su coordinate canoniche, con riff rocciosi ma catchy, ritornelli molto melodici ed atmosfere tendenzialmente emozionali, senza però sorprendere nelle soluzioni adottate che risultano ormai ordinarie e prevedibili. Per finire Abnegation, un metalcore/Swedecore melodico sui generis che non aggiunge nulla se non un'ulteriore dose di melodia e potenza.

Non ci sono pezzi brutti in sè a prescindere su quest'album, anche nei momenti più deboli e derivativi. Per alcuni, come i fan duri a morire del gruppo, o quelli che mal sopportavano certe idee di RTR e STYE e hanno accolto con gioia il "nuovo" approccio più grintoso, potrebbe bastare così. Per altri, invece, rimarrebbe la sensazione che manchi qualcosa e che questo sia un ennesimo lavoro di transizione. Quella che gli svedesi hanno scelto è una strada decisamente meno originale rispetto ad altre, seppur coinvolgente e divertente.
Se, per fare un paragone con dischi usciti non molto tempo fa, pure gruppi come i Meshuggah o i Dark Tranquillity non hanno brillato per innovazione nelle loro recenti pubblicazioni, è altresì vero che oltre al coinvolgimento hanno mantenuto tutta la loro personalità senza incappare nel problema già menzionato del fare l'occhiolino agli "allievi" con il loro proprio stile. Una situazione significativa, ma per gli sviluppi futuri azzardiamo che gli In Flames hanno sufficiente classe da non diventare cloni di altri gruppi (già l'aver ritrovato alcuni piccoli spunti dal passato può indicare che gli svedesi vogliano cambiare ma mantenendo una propria identità che si dipani nella discografia anche fra album molto diversi fra loro).
Ad ogni modo, A Sense of Purpose non aggiunge nulla di nuovo alla scena e non dice molto altro più di altri gruppi, come Come Clarity giunge in ritardo di cinque/dieci anni sui tempi (e pensare che su Clayman gli In Flames erano invece pure avanti rispetto a plurime altri gruppi di Gothenburg dell'epoca) ed avendo quindi scarso rilievo nel panorama odierno.
Se non siete d'accordo comunque con tali motivazioni, beh, allora aggiungete pure mezzo o un punto in più al voto finale e godetevi un disco perfettamente in linea con la comune ricerca del lavoro melodico, potente e trascinante, con un campionario di canzoni benevolo, micidiale quanto quello di CC (in media più incisivo anche se con meno singole canzoni memorabili) e nel complesso più efficace di quello di STYE, rispetto a cui perde però per mood/atmosfere e anche qui per i singoli brani migliori - da questo punto di vista, ASOP non ha canzoni più carismatiche di altre che svettino nella discografia del gruppo, ma è più livellato e "moderato".

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