Voto: 
6.2 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Massacre Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Tony JJ (Tony Jelencovich) - voce
- Derans - chitarra
- Artyom Sherbakov - chitarra
- Morten Løwe Sørensen - batteria
- Konstantin - basso

Tracklist: 

1. Dislocated (05:09)
2. That Day, that Sorrow (03:25) 
3. End of File (04:15)
4. Empty Hands (06:02) 
5. Moments (04:14)
6. Blood Ritual (02:31) 
7. To the End (04:55)
8. In Memorium (01:13)
9. The Worthless King (04:54)
10. Turn the Dead On (04:40)
11. Avoiding the Pain (05:24)

Icon in Me

Human Museum

Il moderno Death/Thrash svedese, nato alla fine degli anni Novanta da band come Darkane e Soilwork, funge ancora come grande influenza musicale per band sparse dappertutto. Gli Icon In Me sono un’ulteriore conferma di come quel genere, il quale univa l’irruenza di una forma moderna di thrash/death alla melodia di alcune vocals, possa ancora risultare abbastanza piacevole senza dire nulla di nuovo. Human Museum è il debutto ufficiale di questa band dalla Russia e si fregia di composizioni abbastanza comuni, ma dotate di una buona produzione e impreziosite da una tecnica strumentale notevole. Certo, non mancano episodi poco convincenti, tuttavia non possiamo criticare troppo quest’album. 

Ad esempio, Dislocated si contraddistingue per i numerosi cambi di tempo e le molteplici variazioni d’atmosfera. Il groove delle chitarre è sempre ben presente e i rallentamenti spesso sono infarciti con gli elementi più moderni, come clean vocals e stacchi quasi industrial. That Day, that Sorrow, Blood Ritual e  Moments possono essere annoverati tra gli episodi più tirati del lotto anche se i vari sconfinamenti nel groove e nel melodic Death metal si sprecano, facendo tornare in mente gli In Flames più moderni. End Of Life è un pelino noiosa e mostra un timbro di voce che assomiglia parecchio a quello adottato da Davis dei Korn. A dire il vero, il cantante si lancia spesso in queste tonalità su quest’album. Stessa cosa dicasi per le inflessioni dark/industrial alla Machine Head di Empty Hands, mentre To The End riesce a scuoterci per bene con sezioni violente che assomigliano parecchio allo stile suonato dagli HateSphere

Arrivati verso la fine del disco, l’attenzione cala un po’ a causa di uno stile che non è mutato fino ad ora e non sembra volerlo fare. Ad ogni modo, il riffing tagliente e i blast beats The Worthless King si fanno notare in maniera positiva, mentre le sezioni lente vengono infarcite con synth, risultando un po’ troppo distaccate dal resto. Questo è un problema che troviamo anche nella successiva Turn the Dead On, anche se le strutture sono più complesse e varie. Per chiudere, si segnala lo stile leggermente più classico e diretto di una Avoiding the Pain che ancora una volta viaggia in parte nel groove con aperture melodiche e in parte nel classico, veloce Death/Thrash di scuola scandinava. In fine dei conti gli Icon In Me sono una band discreta anche se ormai ce ne sono a bizzeffe in questo genere e non si sa se l’onesta basterà ai nostri musicisti per ritagliarsi una fetta di notorietà.
 

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