Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast
Anno: 
1996
Line-Up: 

:
- Peter Tägtgren - voce, chitarra, tastiera
- Mikael Hedlund - basso
- Lars Szöke - batteria

Tracklist: 

:
1. The Gathering
2. Roswell 47
3. Killing Art
4. The Arrival of the Demons, part II
5. Buried
6. Abducted
7. Paradox
8. Point of No Return
9. When the Candle Fades
10. Carved up
11. Reflections
12. Slippin' Away
13. Drained

Hypocrisy

Abducted

Se gli Hypocrisy sono una delle formazioni più apprezzate e popolari nell'ambiente estremo svedese è anche grazie a dischi come questo Abducted, quarto lavoro del gruppo nativo di Ludvika (secondo da powertrio) in cui, dopo aver iniziato a riscuotere un discreto successo con il precedente The Fourth Dimension, si assiste ad una progressione musicale da parte dei nordici che apporta diversi cambiamenti alla loro formula e rinnova non solo il loro stile ma la stessa scena metal della Svezia.
La prima differenza con i dischi precedenti è l'elasticizzato approccio del leader e chitarrista Peter Tagtren con la sua voce, divenuta più versatile e spaziante in un campionario che va da un growl basso e catarroso ad uno screaming rauco e gracchiante (rimane non ancora molto dotato come potenza ed estensione ma vedremo come in futuro migliorerà).
La seconda, ancora più rilevante, è una significativa evoluzione stilistica. Abducted è una svolta significativa e particolare per gli Hypocrisy, ormai distanti da quel death ruvido, marcio (ma anche acerbo e derivativo) degli esordi per concepire una variante personalissima di death metal, aggressiva ma fortemente melodica, con atmosfere oscure che catapultano in scenari urbani tetri e misteriosi e dallo stile a-tecnico che punta sull'impatto dei singoli pezzi, sul loro essere assimilabili anche nei momenti più pesanti e sull'efficacia dei refrain, miscelando momenti cadenzati e sostenuti, prediligendo abbastanza i mid-tempo, ed esplosioni più feroci e aggressive.

Se lo definiamo "death melodico" va comunque inteso che non suona affatto allo stesso modo di gruppi come quelli del famoso polo musicale di Gothenburg, considerata la capitale del melodic death metal. Anzi, la visceralità di fondo mantenuta anche nei momenti più stemperati, il mood decadente ma capace di risvolti relativamente scanzonati e la maggior accentuazione del contrasto estremismo/melodicità hanno un midollo maggiormente autoctono; inoltre gli Hypocrisy in Abducted strizzano l'occhio a influenze stilistiche di contorno differenti, che vanno dal black metal per gli spunti più veloci e ronzanti, fino addirittura al doom per quei riff più lenti, marcati e cadenzati (quasi in contrasto) se non per certe strutture ripetute e cadenzate.

Concettualmente infine con questo lavoro gli Hypocrisy (o meglio, Tagtren stesso) esasperano la loro fissazione per lo spazio e gli extraterrestri, già introdotta nel precedente disco al posto di quell'ingenuo e manieristico fare il verso all'anti-religiosità esplicita, mutuata dalle scene musicali scandinave ideologicamente più radicali, che ogni tanto faceva capolino negli esordi. Ma c'è da dire che la formazione svedese si "diverte" a dipingere scenari claustrofobici di rapimenti (da cui il titolo dell'album), misteri extraterrestri, complotti governativi e associazioni del tipo invasore alieno = mostro o demone (il che può essere visto anche come una parafrasi di certo folklore nordico, con omini grigi o verdi al posto di mostruose creature mitologiche) anche per metaforizzare la condizione del disadattato, di chi è "alieno" per l'appunto alla società, e ricollegarsi indirettamente così anche ad un certo disagio generazionale - non estraneo all'underground metal su di un piano sociale e, soprattutto in Scandinavia, religioso.
Questa sorta di concept generale di fondo ad ogni modo, pur certe volte sembrando forzato un po', è un forte catalizzatore per le atmosfere del disco, che assume una dimensione particolare, tetra, maligna ma anche in parte affascinata dal diverso discriminato e critica proprio in virtù dei testi. Anche se si è scettici su certi argomenti (il sottoscritto ad esempio ha poca stima e considerazione per ufologi, cospirazionisti & co.) può essere interessante non scindere il lato lirico-concettuale del disco dallo stesso, in modo da cogliere maggiormente lo spirito del disco e godere appieno dei tratti anche atmosferici delle canzoni.

L'introduzione The Gathering è una registrazione di comunicazioni radio che lasciano immaginare, visto anche il titolo, l'imminente assembramento delle navette aliene, oppure l'individuazione di un relitto precipitato. Sottili tappeti di tastiera di sottofondo rendono il tutto inquietante, quasi a fare della traccia un avvertimento. La prima canzone è invece Roswell 47, brano semplice e schematicamente prevedibile, ma fortemente carismatico nell'incedere quasi solenne dei riff lenti e distorti seguiti da accelerazioni dalle note "aliene" (grazie al vibrato eseguito ad hoc) nel trascinante ritornello. Il testo antemico la rende inoltre praticamente un inno, e la forte orecchiabilità del pezzo non lascia dubbi nel definirlo una hit accattivante.
Killing Art si avvicina ai blacksters Immortal, è un insieme di sferzate furiose di chitarra e ritmiche martellanti, mentre il canto ruggito è secco e gutturale. Nonostante vi siano riff altamente accattivanti (come nel ritornello) il brano però indugia troppo con i clichè stilistici. La durata breve invece sottolinea l'essenzialità del pezzo, che punta a colpire subito come in una veloce vampata.
Ciò contrasta notevolmente con The Arrival of the Demons part II: è il seguito del pezzo presente su The Fourth Dimension ed è un intermezzo lento e cadenzato, dove riff magmatici sostengono atmosfere allucinate ed un chorus in canto pulito raggelante (anche se, purtroppo, penalizzato dalla produzione, dello stesso Tagtren, che seppur potente in questo caso risulta un po' troppo pastosa e soffoca le linee vocali).
La successiva Buried orbita attorno all'ossessiva ripetizione di un riff quasi doom meccanico e corrosivo, ma altamente orecchiabile, fra i più trascinanti del disco. Fino ad ora gli Hypocrisy stupiscono e coinvolgono, l'album sembra a pieno titolo un riuscitissimo lavoro di death melodico che promette inoltre scintille live.
La titletrack Abducted è una furiosa cavalcata death-black dove la melodia cede il passo alla violenza, soprattutto nella brutale parte dell'assolo che si riallaccia alle scene death metal di Stoccolma e della Florida. La relativa brevità rende il pezzo inoltre fortemente diretto ed essenziale come Killing Art.
Paradox rigira nuovamente la velocità esecutiva delle chitarre, divenendo una marcia grave, solenne ed imponente, che non impedisce però che la batteria scandisca il pezzo con il doppio pedale in maniera inesorabile alternando queste cariche a distensioni più meditate.
Point of No Return offre uno dei riff più orecchiabili dell'intero lavoro, incastrato però fra altre sfuriate maggiormente granitiche, ottantiane, soprattutto nell'assolo furioso (preceduto comunque da un mini assolo più melodico) che filtra i primi Death attraverso l'ottica svedese. Alcuni riff invece sembrano ripresi da Killing Art.
When the Candle Fades è un doom metal macabro, distorto ed immerso in acido lisergico che gli Hypocrisy interpretano con tonalità agghiaccianti e disumanizzate dai riff sincopati.
Carved up è una delle tracce migliori, una valanga di lava che rimescola tutte le tendenze dell'album - estremismo con melodia, sfuriate abrasive, strutture ripetitive ossessionanti e disumanizzanti, saturazione sonora di distorsioni e pedali - e ci plasma un pezzo fortemente compatto e trascinante, dal magmatico riff principale alle melodie più distese ma sempre tese del finale, passando per la sezione centrale robotica e infernale che ricorda i primi Entombed.
Reflections è una parentesi ambient raggelante ed aliena che avvolge completamente l'ascolto con i suoi gelidi tappeti di tastiera, salvo introdurre delle strings malinconiche più convenzionali verso metà per poi assumere toni maggiormente epici nel finale, rimescolando le carte in tavola in preparazione del pezzo successivo.
Slippin' Away è una power ballad canonica, composta da elementi non originalissimi di per sè (parte acustica triste e quasi melensa, tastiere meste che riempiono il sottofondo, climax emotivo nel ritornello distorto) ma che lo diventano nel contesto in cui sono inseriti, cioè un album di metal estremo, in cui difficilmente si sentirebbe una canzone del genere. Gli Hypocrisy sono fra i pionieri di questa introduzione di un lato dalla melodia radiofonica e molto atmosferico a contrastare i momenti più duri, lato che fanno loro in pieno, e se si pensa a quel che solo un lustro prima era il death metal si capisce che un merito dell'uomo-gruppo Tagtren è anche di aver sdoganato queste aperture melodiche.
L'approccio musicale ed il testo, pessimista e suicida, confluiscono nella conclusiva Drained, altra ballata dai timbri diversi (più depressivi e spettrali, con arpeggi apatici e piccoli timidi assoli blueseggianti) che fa da sfondo ad un umanità definitivamente disumanizzata e svuotata di ogni emozione - concludendo anche il concept.

In conclusione possiamo catalogare Abducted nell'insieme dei dischi più interessanti del panorama estremo svedese (e non solo) di metà anni '90, nonostante un'attitudine tematica in certi casi prevedibile ed il fatto che ogni tanto l'essere diretto e d'impatto di questo dischetto tenda a scadere leggermente nella grossolanità, comunque in misura marginale.
Un'ottima prova per Peter Tagtren e soci.

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