Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Peter Tägtgren - Voce, Chitarra, Produzione
- Horgh - Batteria
- Mikael Hedlund - Basso


Tracklist: 

1. Valley of the Damned
2. Hang Him High
3. Solar Empire
4. Weed Out the Week
5. No Tomorrow
6. Global Domination
7. Taste the Extreme Divinity
8. Alive
9. The Quest
10. Tamed-Filled With Fear
11. Sky's Falling Down

Hypocrisy

A Taste of Extreme Divinity

Peter Tägtgren è tornato. La cosa bella è che l'ha fatto lasciando finalmente da parte i tanto amati Pain e riabbracciando l'universo oscuro e martellante dei buoni vecchi Hypocrisy, improvvisamente sprofondati nel silenzio dopo la pubblicazione di Virus nel 2005. A quattro anni di distanza da uno dei dischi più criticati del gruppo, il boss svedese ha ben deciso di risollevare le sorti di una band che, non solo in Europa, viene estremamente (e giustamente) considerata come tra le espressioni più peculiari del death metal moderno. A Taste of Extreme Divinity esce nel 2009 sotto l'egidia della Nuclear Blast proprio per questo proposito: dimostrare che gli Hypocrisy hanno ancora qualcosa da dire e certificare il fatto che Tägtgren è ancora il mostro sacro dell'extreme metal scandinavo. E se il risultato non fa gridare al capolavoro, di certo lascia in bocca un sapore piuttosto piacevole.

Un ritorno di sicuro senza troppi botti ma studiato e ben orchestrato quello degli Hypocrisy, orfani del chitarrista Andreas Holma ma estremamente sicuri dei mezzi a propria disposizione: d'altronde con Tägtgren tutto sembra essere sempre così semplice e immediato e A Taste of Extreme Divinity ne è l'ennesima testimonianza:  l'atmosfera più claustrofobica e ruvida dei primi capolavori è completamente assente, rielaborata qui sullo stesso stile di The Arrival grazie ad un sound sicuramente più freddo, curato e in grado di metterne in risalto la pulizia compositiva, dalla quale come al solito emerge l'inesauribile talento di Tägtgren nel dipingere melodie profonde e riff al vetriolo con la medesima forza dei tempi migliori.

Il disco parte a razzo grazie ad un poker d'assi calato subito nelle prime quattro tracce: l'oscuro riffing dell'opener Valley of the Damned (fantastico il breve bridge prima dell'ultimo refrain), l'accattivante Hang Him High, l'accento più melodico e il richiamo a The Arrival di Solar Empire e il capolavoro Weed Out the Weak (i cui riff centrali probabilmente rimarranno tra i più idimenticabili creati da Tägtgren) spingono sin da subito A Taste of Extreme Divinity e dimostrano la cattiveria, l'intensità espressiva e le qualità compositive di un gruppo ancora in forma e in grado di macinare riff e atmosfere come se fosse un gioco da ragazzi (soprattutto in uno scenario riciclato come quello death metal contemporaneo). Senza brillare troppo per originalità e innovazione - come già detto lo stile ricalca parecchio la svolta più orecchiabile di The Arrival, arrivando più volte all'autocitazione - gli Hypocrisy riescono comunque a tirare fuori dal cappello un disco compatto e denso di contenuti, piacevole tanto nei suoi momenti più brutali (la più spinta e black Taste the Extreme Divine e la meno incisiva Alive) quanto in quelli più lenti e melodici, come dimostrano le buone atmosfere di No Tomorrow, Global Domination e The Quest, l'episodio più doom e funereo dell'intero platter. A lasciare qualche dubbio sull'effettiva qualità del disco è solamente l'accoppiata conclusiva data da Tamed-Filled With Fear e Sky's Falling Down (martellanti ma piuttosto scialbe melodicamente, se si esclude l'ottimo finale della seconda), incapaci di mantenersi sullo stesso livello delle precedenti tracce e sicuramente meno avvolgenti a livello atmosferico, sebbene gli arrangiamenti rimangano sempre molto curati e ben orchestrati (ottima, come al solito, la prova dietro le pelli di Horgh e quella strumentale/vocale di un Tägtgren davvero inesauribile).

Nel complesso A Taste of Extreme Divinity è un disco assolutamente positivo che trascina ed emoziona senza difficoltà, seppur senza strafare e senza avvicinarsi ai gloriosi fasti di un passato - però - nemmeno troppo lontano.
In fondo, Peter Tägtgren era mancato un pò a tutti (di meno agli adulatori dei Pain) e A Taste of Extreme Divinity ce lo riporta davanti in un una forma decisamente smagliante oltre che poco auspicata da fan e critica. Un buon disco, granitico, duro ma con il solito interminabile serbatoio di melodie profonde e trascinanti, quelle che solo i geni estremi come lui sono in grado di creare. Bentornati.


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