Voto: 
5.2 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Etichetta: 
Mute Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

Alison Goldfrapp - Vocals, Instruments
Will Gregory - Instruments

Tracklist: 

1. Rocket
2. Believer
3. Alive
4. Dreaming
5. Head First
6. Hunt
7. Shiny and Warm
8. I Wanna Life
9. Voicething

Goldfrapp

Head First

 

I Goldfrapp sono noti per aver sempre percorso sentieri diversi tra un album e l’altro: dalla sognante elettronica 60’s e dalle suggestioni cinematografiche del debutto, Felt Mountain, al pop elettronico di Black Cherry, dal martellante electroclash di Supernature alla delicata vena country che caratterizza Seventh Tree. Con Head First i Goldfrapp avevano preannunciato una nuova svolta: il sound sarebbe stato interamente sintetico e l’ispirazione sarebbe derivata dal decennio d’oro dei sintetizzatori, ovvero dagli anni ‘80.

La parola è stata appieno mantenuta: il loro ultimo album pullula di beats elettronici e tappeti di sintetizzatori, e più che un album ispirato agli anni ‘80 sembra esservi direttamente uscito fuori, quasi un figlio spurio. C’è da dire, però, che il livello complessivo dell’album è molto calato rispetto ai precedenti: nessuno degli album successivi a Felt Mountain è mai riuscito a bissare la perfezione raggiunta dal debutto, mancando sempre in qualcosa ma restando comunque prodotti validi. Head First ci si allontana in maniera molto più radicale, ostentando arrangiamenti curatissimi affiancati ad idee deboli, poco consistenti. Sembra un album realizzato quasi per dovere documentativo, una “fenomenologia del pop anni ’80”, che viene smembrato, analizzato e ricomposto, indulgendo in prestiti da un grande numero di hit del decennio che in molti casi suonano quasi come un saccheggio.

La canzone apripista è Rocket, probabilmente una delle peggiori canzoni che i Goldfrapp abbiano mai composto ma dotata di una vitalità ed energia tali da rivelarsi, paradossalmente, una delle più riuscite di sempre (grazie anche al gioco del “già sentito” creato dai sintetizzatori molto à la Van Halen), e per questo è stata giustamente scelta come singolo di lancio dell’album. Alive, col suo pianoforte insistente e il ritornello arioso in cui la voce –sempre angelica- di Alison si stratifica  all’infinito, riesce ad essere piacevole ed entra subito in testa, tanto da candidarsi a terzo singolo, nonostante le strofe oltraggiosamente identiche al ritornello di  “Rio” dei Duran Duran. Le più originali sembrano essere Believer (secondo singolo), un ritmato dream pop cullato su vocalizzi delicati ed eterei, dal chorus implacabile e anch’esso destinato a farsi ricordare, e Hunt, la canzone meno piegata ai clichè anni ’80 e sicuramente picco dell’album, basata su campionamenti vocali e su pulsazioni atone attorno a cui si avvolgono un cantato sensuale e strati di sintetizzatori atmosferici. Un pezzo denso, crepuscolare, il più vicino all’originalità degli esordi. Dreaming è un altro buon pezzo che si rifà, tanto negli arrangiamenti quanto nelle scelte melodiche, all’italo disco dei primi anni ’80, tanto che non ci si sorprenderebbe se invece di un’intensa Alison Goldfrapp a cantare fosse una stralunata Diana Est. Non è improbabile una candidatura a quarto singolo, per la presenza dell’obbligatorio ritornello ossessivo e per la particolare cura che rendono questa canzone la seconda (e ultima) cima dell’album. Il resto è poco degno di nota: la title track, Head First, è nel complesso piacevole, ma troppo melensa e impantanata nei luoghi comuni di tormentoni del periodo e di colonne sonore di film ormai storici (se fosse nata una trentina di anni fa, l’avremmo ritrovata di sicuro nella colonna sonora de “Il Tempo delle Mele”); Shiny and Warm non sembra altro che una scopiazzatura dagli album precedenti, in particolare Black Cherry, con la solita traccia vocale pregna di sensualità, un basso sintetico che tratteggia melodie sferzanti e ritmi sostenuti, il tutto semplicemente con un arrangiamento un po’ più eighties; Voicething, pezzo di chiusura, è una brutta copia di un pezzo meraviglioso quale “Felt Mountain”, dall’album omonimo, e la pessima I Wanna Life, il pezzo in assoluto peggiore, si presenta come un’accozzaglia di autoplagi e citazioni, a partire dai cori presi in prestito dalla dance anni ’90, la base ricopiata da Dreaming e soprattutto il ritornello che sembra la continuazione di Rocket.

Pur non avendo mai più raggiunto le vette della “montagna franata” del loro album d’esordio, i Goldfrapp non hanno mai fatto un vero e proprio passo falso. Piace pensare che neanche Head First lo sia, preferendo credere che sia piuttosto un tributo con cui Alison e Will hanno voluto omaggiare un decennio a cui la loro musica deve molto, uno sfizio che i due hanno deciso di togliersi a tempo perso, prendendosi una pausa creativa. La speranza è che di questo si tratti, e che dal prossimo album il duo si riprenda da questa sorta di pausa che, sebbene meritata, è sicuramente poco gradita.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente