Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Andrea Rubini
Genere: 
Etichetta: 
SPV Records/Audioglobe
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Jacob Bredahl - voce
- Peter Lyse Hansen - chitarre
- Henrik Jacobsen - chitarre
- Anders Gyldenøhr - batteria
- Mikael Ehlert - basso


Tracklist: 


1. The White Fever
2. The Fallen Shall Rise In A River Of Blood
3. Reaper Of Life
4. Sickness Within
5. Murderous Intent
6. The Coming Of Chaos
7. Bleed To Death
8. Heaven Is Ready To Fall
9. Seeds Of Shame
10. Chamber Master
11. Marked By Darkness

HateSphere

The Sickness Within

Gli HateSpehere sono la classica band di transizione tra il Death di scuola svedese e il Thrash;
il combo danese, che debutta alle porte del nuovo millenio, si è distinto negli anni come principale band del loro Paese, vincendo per tre anni di seguito il titolo di Best Danish Metal (02/03/04).
Questo titolo paradossalmente in Danimarca non viene assegnato solo alle band danesi, infatti il 2005 vede il trionfo dei Soilwork con Stabbing The Drama. Ma torniamo alla band, e più precisamente all'album. The Sickness Within è un album maturo, dove il Gothenburg si intreccia all'ormai sempre più in voga core americano.

L'album si apre con The White Fever, presentando subito la foga dei danesi nel proporci un sound deciso e coinvolgente. Ritmiche alle The Haunted che ritornano anche nella successiva The Fallen Shall Rise In A River Of Blood, la quale risulta più fragmentata grazie alle soluzioni ritmiche e all'introduzione dello speaker.
Le cadenze proseguono con la terza traccia, giri Core e doppio timbro vocale, cavernoso nella parte introduttiva della strofa, per poi continuare in scream classico.
La struttura delle canzoni degli HateSphere sono abbatanza simili, e di conseguenza assimilabili, ma ben congeniate. Non c'è banalità nel songwriting.
E un loro marchio di fabbrica è il continuo cambio di ritmo, come le frenetiche rullate della title track Sickness Within, dove la band si impadronisce totalmente dell'american sound e ci sviluppa sopra la trama.
Come i capostipiti Soilwork, anche i danesi entrano e approfondiscono queste sonorità, creata dal tentativo di fondere il thrash all'hardcore, e alle successive nascite dei generi Groove (Machine Head, Pantera) o Metalcore (Shadows Fall).
Le cavalcate continuano in Murderous Intent, le sonorità sono ora più metalcore, Bleed To Deats, ora più groove, Heaven Is Ready To Fall. Il suono è sempre più veloce e più pieno, e dopo quattro canzoni abbastanza simili tra loro, ci imbattiamo in Seeds Of Shame, la nona traccia, che suona molto più cadenzata e decisa, riprendendo come nella terza traccia Reaper Of Life la doppia vocalità. Chamber Master e la conclusiva Marked By Darkness non inseriscono nuovi elementi, tranne dire che la conclusiva è la canzone più hard-core dell'album.

Gli HateSphere non sono un gruppo che ha inventato del nuovo con questo album; d'altra parte non si può dire che gli elementi che hanno proposto siano stati mal eseguiti.
In sostanza è un album non trascendentale ma di buona fattura, un acquisto sicuro per chi non vuole sorperese o a cui non piacciono troppe sperimentazioni o l'elettronica.


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