Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Stefano Magrassi
Genere: 
Etichetta: 
Earache Records
Anno: 
2005
Line-Up: 



- Erik Rutan - Chitarra e Voce


- Derek Roddy - Batteria


- Randy Piro - basso





Tracklist: 



1. Two Demons (03:55)


2. Behold Judas (04:21)


3. The Victorious Reign (03:38)


4. To Know Our Enemies (04:15)


5. I, Monarch (04:37)


6. Path to the Eternal Gods (03:28)


7. The Plague of Humanity (04:02)


8. It Is Our Will (04:41)


9. Sons of Darkness (04:56)


10. Faceless One (04:39)

Hate Eternal

I, Monarch

Gli Hate Eternal possono essere inseriti, senza ombra di dubbio, tra quelle super band capaci di raccogliere in una sola volta personaggi e musicisti famosi ed affermati e che, secondo la semplice equazione “miglior strumentista = miglior performance”, dovrebbero garantire ad ogni uscita album al di sopra della media. E appunto qui si parla non di due qualsiasi, ma di un certo Erik Rutan (ex Morbid Angel ed ex Ripping Corpse) e del signor Derek Roddy (la lista delle sue partecipazioni è veramente lunga: dai Nile ai Malevolent Creation, fino ai Divine Empire; comunque è preferibile ricordarlo come uno dei batteristi death migliori al mondo)

A dirla tutta, però, il gruppo non ha mai convinto troppo, come spesso succede in questi casi: al di là della schiera di fan che li amano alla follia, Rutan e soci non sono mai riusciti a proporre nulla di molto coinvolgente ed innovativo. Tutto il loro lavoro, infatti, si è sempre concentrato su un’unica caratteristica: la velocità. Spropositata, mostruosa, incredibile e devastante. Ovviamente, però, il risultato ne ha sempre risentito da un punto di vista strettamente emotivo: la mancanza di parti più ragionate e fantasiose rappresenta una lacuna non trascurabile.

Ma qualcosa è cambiato. I, Monarch è differente rispetto ai due precedenti lavori: la ricerca della velocità non è più così preponderante, lasciando il posto ad una buona dose di fantasia e a qualche idea veramente valida. Gli echi del passato dei singoli componenti si fanno sentire, ma la proposta è buona e l’ascolto piacevole. Le 10 tracce si susseguono tranquillamente, tessendo trame a volte tipicamente Death e a volte sfociando in un Brutal intransigente e velocissimo. Ovviamente il tasso tecnico è sempre elevatissimo.

Two Demons e Behold Judas sono un inizio devastante: voce non troppo sporca, riff granitici e una certa passione per le melodie disarmoniche e claustrofobiche, fanno di questi due pezzi un incipit fenomenale. The Victorius Reign e To Know Our Enemies arrivano a colpirci come un calcio in faccia: velocità, ancora velocità e di nuovo velocità. Inoltre qua e là fanno capolino alcune tastiere ed altri effetti che riescono a creare un’atmosfera veramente particolare. A proposito di questo fatto, è bene sottolineare il perfetto lavoro delle chitarre che in tutto l’album ed in più punti riproducono alla perfezione quelle parti destinate a sintetizzatori e simili. I, Monarch, la title-track, è sicuramente uno dei pezzi migliori e meglio costruiti: in alcuni momenti i richiami a gruppi come i Nile si sentono, ma ciò non toglie che la canzone sia veramente al di sopra della media.

Siamo arrivati a metà. E’ inutile dire che il resto del disco prosegue sempre sulla stessa linea d’onda: la proposta non cambia molto, ma non mancano trovate che fanno la differenza. Così ecco che dalle casse del nostro stereo fuoriescono in successione le note di Path To The Eternal Gods, The Plague Of Humanity, It Is Our Will e Sons Of Darkness. Roddy è semplicemente mostruoso, non è possibile definirlo in altra maniera: la sua batteria è un elemento sempre presente, devastante e insostituibile. Rutan dimostra che anche dietro un microfono se la cava senza troppi problemi e la sua prova è senza sbavature (benché abbatsanza ripetitiva). La conclusione dell’album è affidata ad un pezzo strumentale, Faceless One, molto più tecnico rispetto al resto delle tracce, meno veloce e dalle sonorità leggermente più moderne. Sinceramente non si comprende la scelta di inserire una canzone di questo tipo e per di più alla fine del disco, ma comunque l’ascolto generale non ne risente.

Come succede spesso in questi casi (ormai un po’ troppo spesso), una produzione ottima e l’elevato tasso tecnico dei singoli componenti non presuppone che il risultato finale sia assolutamente un capolavoro. C’è, però, da dire che questa volta gli Hate Eternal hanno sfornato un disco molto valido, migliorandosi rispetto ai precedenti. Sicuramente gli amanti di sonorità veramente estreme saranno contentissimi, ma anche chi cerca proposte un pochino più fantasiose o particolari non disdegnerà l’ascolto. Buono, ma non ottimo.

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