Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Lifeforce Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

Rob Kellom – vocals
John Radford – guitars
Arturo Matamoros – guitars and vocals
John Raudebaugh – bass
Danny Strong – drums

Tracklist: 

1 - In This City
2 - State Of Emergency
3 - Last Saturday Was Way Better
4 - I Drew A Portrait In Philly
5 - Mr. Warwithin
6 - The Lion’s Den
7 - Passing Through
8 - Love Muscle
9 - Los Muertos Caminan
10 - Lets End This Album With A Party

Hand to Hand

Design the End / Follow the Horizon

D’ora in avanti, quando avremo occasione di trattare di emocore, non potremo certamente trascurare gli Hand To Hand, 5 soggetti di Orlando con un’idea folle in testa: riproporre in tutta la sua ferocia sentimentale un genere troppo spesso considerato, a torto, di secondo livello. La Lifeforce Records, detentrice delle loro prestazioni professionali, non può che essere soddisfatta di quanto proposto da questa eterogenea formazione della Florida: dopo il convincente esordio di 4 anni fa (A Perfect Way To Say Goodbye) e l’EP Breaking The Surface di appena 12 mesi or sono, gli Hand To Hand si confermano una della più solide e meritevoli realtà del panorama internazionale emo/scremo, dando alle stampe un prodotto piuttosto compatto, certamente intenso, magari di difficile assimilazione ma indubbiamente di buon valore. Sarà forse paradossale, ma ancora una volta si conferma alla perfezione l’opinione generale secondo la quale i cambiamenti di lineup producono lavori sempre migliori dei precedenti: migliore o non migliore, la rivoluzione attuata dagli Hand To Hand, con il solo Rob Kellom sopravvissuto all’ondata di rinnovamento, sembra aver nettamente chiarito le idee alla band, oramai consapevole del proprio stile rabbioso, intricato, forse poco emo, sicuramente molto core.

Ad ogni modo, il loro ultimo LP si presenta come un lavoro roccioso, a tratti brillante, a momenti piuttosto ostico, ma con quella innata scorrevolezza di fondo che fa sì che non ci si azzardi ad estrarre mai il cd dal lettore. Design The End/Follow The Horizon non apporta alcuna impensabile rivoluzione all’emocore attuale, ma nella sua semplicità ne traduce essenza e stilemi in maniera praticamente impeccabile: oltre all’imprescindibile alternarsi delle vocals scream e clean (entrambe abbastanza convincenti, seppur non facciano gridare al miracolo soprattutto nei frangenti di piena sovrapposizione), senza dimenticare i proverbiali choruses melodici e di quando in quando strappalacrime, sono i riffs a farla da padrone, con la loro nitidezza figlia di un sound molto più moderno che patinato. 

Tuttavia, il problema essenziale del disco in questione emerge in maniera tanto più evidente quanto più si lascia girare il disco nel lettore: la virtù stessa delle traccie di Design The End/Follow The Horizon, ovvero la sua stretta appartenenza ad un genere ben canonizzato, finisce col ritorcersi contro ai suoi stessi autori per via di un’omogeneità francamente troppo spinta, troppo coesa, che non ammette eccezioni. La conseguenza di gran lunga peggiore, che mina alla base gli intenti stessi dell’album, è il fatto che nessun pezzo finisce con l’insediarsi nella memoria dell’ascoltare per qualcosa di veramente caratteristico, distintivo, unico: benché ciò significhi che non c’è traccia di spudorate ruffianerie, si tratta pur sempre di una difficoltà per nulla trascurabile, tenendo conto del fatto che le peculiarità dell’emo sono proprio impatto e coinvolgimento. Tutto quanto deriva indirettamente dalla più totale assenza di variazioni sul tema che riescano a catturare l’attenzione in maniera repentina ed indelebile: al di là di un piacevole intermezzo acustico e dell’interessante suite strumentale conclusiva (davvero una piacevole sorpresa), le 8 restanti tracce dell’album alternano elementi più leggeri e delicati (Love Muscle) con altri decisamente più dinamici e massicci (The Lion’s Den con le sue malcelate sfumature nu metal), scelte di assoluta purezza (State Of Emergency) con altre più alternative e forse naif (Last Saturday Was Way Better), ma non si tratta di effettiva diversità bensì di un approccio musicale che, per quanto lo si possa giudicare differente, non si esprime attraverso soluzioni di songwriting realmente eterogenee e, a loro modo, accattivanti.

Alla fine della fiera, pregi e difetti sembrano compensarsi in maniera quasi speculare, motivo per il quale se da un lato non possiamo considerare Design the end/Follow the horizon un lavoro di valore eccelso, benché sempre ragionato e ben strutturato, dall’altro non possiamo non considerare gli Hand To Hand una formazione di sicura prospettiva che già al presente può configurarsi come una realtà di tutto rispetto, seppur marcatamente di genere.
 

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