Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Hammock Music
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Marc Byrd - chitarra, programming, synth
- Andrew Thompson - chitarra, programming, synth

Tracklist: 

1. The Backward Step
2. Tristia
3. Little Fly/Mouchette
4. Breathturn
5. In The Nothing Of A Night
6. Andalusia
7. The Whole Catastrophe
8. The World We Knew As Children
9. Dust In The Devil’s Snow
10. How Can I Make You Remember Me?
11. You Lost The Starlight In Your Eyes
12. Something Other Than Remaining

Hammock

Chasing After Shadows... Living With the Ghosts

Dal loro fumoso quartier generale a Nashville, gli Hammock continuano la propria odissea onirica dando finalmente alle stampe l'atteso seguito di Maybe They Will Sing For Us Tomorrow (2008) e riportando meritatamente in auge il proprio nome, un nome che nell'odierno panorama post-rock/dream pop suona sempre più come una reliquia intoccabile. Che gli Hammock abbiano elaborato questa fusione stilistica traendone uno dei più affascinanti paradigmi espressivi in circolazione è assolutamente fuori discussione, ed è per questo che il loro ritorno è stato, un pò da tutti gli addetti ai lavori, celebrato con grande enfasi e commozione. Perchè, tanto vale dirlo subito, Chasing After Shadows... Living With the Ghosts è realmente un album che commuove ed emoziona, ridonandoci gli Hammock in una veste ben più coinvolgente del comunque apprezzato Maybe They Will Sing For Us Tomorrow, seppur non riuscendo a rievocare la qualità e lo splendore dell'esordio Kenotic (2005) e dell'altrettanto mesmerizzante Raising Your Voice.. Trying to Stop an Echo (2006).

Nella ricerca del complesso statunitense, da sempre "cosmica" e incentrata su inscalfibili flussi onirici, mai come nell'ultimo full-lenght Chasing After Shadows... Living With the Ghosts il suono si dilata, si riempie di riverberi, affoga in un'atmosfera irreale e letteralmente immersa in un mondo di sogno. Ovvio che spingersi su queste sponde comporta nella maggior parte dei casi un contatto diretto con chi queste sonorità le ha istituzionalizzate, ma gli Hammock non si tirano indietro e, spulciando quà e là nel repertorio del moderno pop-rock sognante (con tutto il rischio di trasformarsi in una band clone dei maestri Sigur Ros), riescono comunque a tirare fuori un album denso di contenuti e atmosfere estremamente piacevoli.
Se infatti da una parte i retaggi (a tratti fin troppo evidenti) della band di Jonsi diminuiscono la portata innovativa del progetto, dall'altra gli Hammock stendono su un tappeto elegantissimo una serie di canzoni irresistibili, dei medicinali per le malattie del cuore e della mente, delle fantasie emotive splendidamente incastonate in un limbo etereo, a partire dal capolavoro dell'album Dust in the Devil's Snow - dolcemente solcata da un malinconico arpeggio di chitarra acustica e dalla delicatezza dei soundscapes ambientali - per finire con le immacolate atmosfere interiori (di netta impronta Sigur Ros) di The Backward Step e Tristia e il toccante ambient eluviumiano di In the Nothing of a Night. E poi ancora il sogno che si contorce, si spegne e rinasce all'infinito, l'afflato cosmico che pervade ogni singolo frammento sonoro, le atmosfere fluttuanti e inafferabili, quelle chitarre sviscerate da qualsiasi comando materiale e trasformate in una perenne marcia di timidi fuochi fatui. Non è per questo un caso che, a differenza dei precedenti lavori, Chasing After Shadows... si appoggi in maniera ben più evidente sulla matrice ambient, funzionale al discorso drammatico dell'album ma d'altra parte fonte di eccessivo rallentamento emozionale (episodi come The Whole Catastrophe, How Can I Make You Remember Me? e Something Other Than Remaining se presi singolarmente riescono a colpire, ma messi in serie frenano in maniera evidente le sorti espressive dell'album).

Seppur a tratti fin troppo soporifero e derivativo (The World We Knew As Children e gli infiniti riverberi di Andalusia) e, Chasing After Shadows... non fa una piega nel percorso, fin qui quasi impeccabile, degli Hammock e ci dà un'interpretazione ancora più sentita e rappresentativa del loro simbolico monicker. Hammock come amaca, come letto sospeso tra due punti lontani nello spazio: il cuore e i sogni collegati da un flusso invisibile alle stelle e noi su di esso beatamente distesi.
Piacevole, come i sognatori di Nashville ci hanno da sempre abituato.


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