Voto: 
8.1 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Noise
Anno: 
1984
Line-Up: 

:
- Chris Boltendahl - vocals
- Peter Masson - guitars
- Willi Lackman - bass
- Albert Eckardt - drums

Tracklist: 

:
1. Headbanging Man
2. Heavy Metal Breakdown
3. Back From The War
4. Yesterday
5. We Wanna Rock You
6. Legion Of The Lost
7. Tyrant
8. 2000 Legion Years From Home
9. Heart Attack

Grave Digger

Heavy Metal Breakdown

Indietro, indietro nel tempo, fino a giungere al lontano 1984, data d’esordio di una della band che ha segnato il classic heavy metal delle origini. Infatti i Grave Digger rappresentano quel fenomeno di trasposizione della NWOBHM che nasceva qualche anno prima in Inghilterra e genere che più di tutti è stato metabolizzato e rigurgitato da innumerevoli band teutoniche.
La realtà del becchino (traduzione di Grave Digger) si potrebbe definire molto “underground”, considerando la scarsa attenzione ricevuta dalla critica, la quale li ha sempre messi in sordina rispetto a band più blasonate (Iron Maiden, Judas Priest, su tutti) per il semplice fatto di essere giunti sulle scene con qualche anno di ritardo.

In questi 9 pezzi si possono gustare parecchi degli ingredienti rimescolati negli anni a venire, ponendo le basi per un genere che proprio a quel tempo stava albeggiando. L’approccio ispiratore dei Grave Digger sta nella lotta e nella concezione che la vita è una continua battaglia per ottenere ciò che si vuole, filosofia seguita ancora oggi nonostante della band di origine sia rimasto solo il granitico singer Chris Boltendahl, la cui voce risulta ruvida e distruttiva come carta vetro su una superficie pericolosamente delicata.
Ottima la title tack, che offre una doppia linea vocale durante il ritornello (caratteristica parte del loro sound) capace di far da scudo rispetto all’arma pungente di Peter Masson alla sei corde, il tutto deliziosamente contrastato dall’ingresso della successiva Back From The War: inizio doom che presagisce dolore fino all’esplosione del riff centrale, assolo conciso ed inquietante, altra mossa azzeccata. Nella stessa misura la graffiante e bellica (anche più di un pezzo dei Manowar) We Wanna Rock You capace di distrugge i timpani: headbanging senza freni grazie a riff compatti ma statici che fungono da fulcro del sound degli artisti.

Piacevole solo a metà la ballad Yesterday in cui viene fuori qualche limite di Chris, soprattutto per i tempi lenti, ma la godibilità della traccia è buona considerando anche gli stacchi batteria-chitarra che enfatizzano il lato creativo della band. Meglio e molto più empatica la traccia pseudo-epica Legion Of The Lost, almeno per il suo inizio, finché non sono le chitarre a tramutarsi in carrarmati d’assalto, reminiscenze scovabili anche in qualche staccato di Tyrant, il pezzo più dinamico dell’album ma allo stesso tempo quello che più ha saccheggiato (pur se in modo intelligente) dalla scena musicale del tempo.
E mentre 2000 Legion Years From Home sembra essere uscito direttamente dalla penna di Paul Di Anno & Co., Heart Attack cala il sipario, tramite una vena speed melodica ma grezza, su un esordio davvero interessante che apre la strada ad una longevità di tutto rispetto.

Un punto debole è riscontrabile però nell’eccessivo allungamento di alcune parti e nella poca variabilità del sound che spesso finisce per tramutare dei riff splendidamente accattivanti in note parzialmente noiose e ripetitive; ma ciò fa parte, appunto, del sound della band. Prendere o lasciare.

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