Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Lorenzo Iotti
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

Jan-Chris De Koeyer – basso e voce
Frank Haarthorn – chitarra
Boudewijn Bonebakker – chitarra
Ed Warby – batteria


Tracklist: 

1. Revolt
2. Rise To Ruin
3. The War On Stupidity
4. A Question Of Terror
5. Babylon’s Whores
6. Speak When Spoken To
7. A Grim Crusade
8. Murder Brigade
9. The End Of It All

Gorefest

Rise To Ruin

Quella dei Gorefest è una storia complessa e travagliata: nata nel 1989 con il cantante e bassista Jan-Chris De Koeyer e il chitarrista Frank Haarthorn, la band contribuisce assieme ai conterranei Sinister a dare lustro alla scena death olandese, raggiungendo il successo nel 1994 con False, album che riprende in parte lo stile dei Cannibal Corpse pur con contaminazioni di scuola svedese (Entombed in primis) e un’insolita predilezione per tempi lenti e sprazzi di melodia, che li ha portati ad essere amati da una frangia di fan e odiati e disprezzati da chi ama il death più ortodosso.
Queste sperimentazioni hanno portato la band ad osare sempre di più, prima con Erase, che semplificava la struttura dei brani aggiungendo elementi groovy e hard rockeggianti, e poi con i successivi Soul Survivor e Chapter 13, che seguono la strada del death n’roll intrapresa dagli Entombed; il tratto distintivo della band rimane la voce di De Koyer, che da Erase in poi abbandona del tutto il cantato growl per assumere un tono grezzo e gutturale; questi cambiamenti hanno però portato a dissidi interni ed esterni alla band, fino a comportare lo scioglimento dei Gorefest.
Ma negli ultimi anni le reunion sono diventate ormai all’ordine del giorno, ed ecco che ritroviamo i quattro nel 2005, con un disco, La Muerte, che si configura come un parziale ritorno agli anni d’oro, con tuttavia la consapevolezza degli ultimi lavori; dopo appena due anni, la rinata band torna sulle scene con questo Rise To Ruin.

L’album si apre con la devastante Revolt, a dimostrazione che l’evoluzione della band continua: il tecnicissimo batterista Ed Warby, uno dei più famosi drummer olandese all’opera in diversi altri progetti (Ayreon su tutti), è più che mai scatenato dietro il drumkit, con ritmiche terremotanti e apocalittiche che spaziano da ritmi serrati a tempi complessi che ricordano gli Opeth di Deliverance, specie nelle parti più cadenzate; ottima si rivela anche la produzione, che ancora più che nel disco precedente valorizza la sezione ritmica facendo di voce e batteria le colonne portanti del sound. I Gorefest non cessano poi di stupire, con un ardito ma non fuori luogo stacco melodico a metà canzone, mentre i vocals disumani e distaccati si mantengono su quello che è il marchio di fabbrica della band.
Le due canzoni successive, la title-track e The War On Stupidity, così come nella lunga e devastante Babilon’s Whores, uno dei pezzi più riusciti dell’album, e in Murder Brigade, la band continua con un death metal dai toni cupi e dalle ritmiche funamboliche, sempre caratterizzato da quei patterns acuti e melodici di chitarra che rendono caratteristica la musica dei Gorefest, e che se a volte si rivelano fuori luogo (vedi l’assolo di Murder Brigade) in altre contribuiscono a donare freschezza alle composizioni.
A partire da A Question Of Terror invece, passando per i riff panteriani di Speak When Spoken To e gli accordi massicci e groovy di A Grim Crusade, per arrivare alla conclusiva The End Of It All, la band passa ad amplificare la componente groove della sua musica, allineandosi talvolta ai Machine Head di Burn My Eyes; prova lampante è la pesantissima e marziale conclusione di The End Of It All, che ricorda forse più del dovuto il masterpiece della band di Flynn, Davidian. Il risultato è una riuscita miscela di death, groove e alcune componenti metalcore (ritmiche in primis), che pur confermando una certa sensazione che, dopo gli spunti nu metal che affioravano di tanto in tanto in La Muerte e che avranno fatto rabbrividire diverse persone, ora, con la rinascita dei Machine Head e il trend del metalcore, i Gorefest abbiano deciso ancora una volta di seguire la corrente; nonostante ciò, il prodotto è sempre originale e personale, ed ogni spunto è ben integrato nel tradizionale Gorefest-sound.

Decisamente superiore al suo diretto predecessore, Rise To Ruin è dunque un disco riuscito, ben congegnato e architettato, dove i Gorefest hanno saputo rinnovarsi e tenersi al passo con i tempi, pur senza introdurre nulla di particolarmente innovativo e strizzando l’occhio a diverse altre band.
Coloro che amano la band non si aspettino dunque un ritorno ai tempi di False, ma un album dal sound metallico e devastante ma moderno, che si configura comunque come uno dei più riusciti della carriera dei nostri; chi invece non ama le contaminazioni adottate della band, con ogni probabilità manterrà inalterata la sua opinione.

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