Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Etichetta: 
Play It Again Sam
Anno: 
2013
Line-Up: 

Ghostpoet (Obaro Ojimiwe)

 

Guests:

  • Lucy Rose
  • Woodpecker Wooliams
  • Charles Hayward
  • Gwilym Gold
  • Dave Okumu
  • Tony Allen

 

 

Tracklist: 

1. Cold Win
2. Them Waters
3. Dial Tones
4. Plastic Bag Brain
5. Thymethymethyme
6. Meltdown
7. Sloth Trot
8. Dorsal Morsel
9. Msi Musmid
10. 12 Deaf
11. Comatose

Ghostpoet

Some Say I So I Say Light

E venne la musica nera e portò il ritmo. Anche la scrittura beat aveva ritmo, il ritmo del jazz, il beat dei bianchi che avrebbero voluto nascere neri. Scampoli di jazz si impastavano in quelle parole, il flow era fluido ed avvolgente, finanche euforico quando non velato da giustificate malinconie blues.

E gli animi più sensibili riuscirono comunque a generare grandi cose, grande musica, nonostante il mercato della musica e l'eroina dei bianchi stravolse il jazz che divenne un big business.

Poi qualche nero se ne accorse e decise che mentre i giovani – bianchi – potevano fare la loro rivoluzione, quella nera non era mai stata realmente realizzata. E giù botte e poesia. E grande musica. E tante parole. Last Poets, Linton Kwesi Johnson, Gil Scott Heron: musica che è sempre stata in qualche modo politica e non perchè voleva esserlo, perchè doveva!

I decenni di orge mercantili che seguirono, quelli del funk e della disco furono anni più leggeri e spensierati ma musicalmente propedeutici al rigurgito 'black' che tra poco sarebbe ritornato. Con una differenza però sostanziale rispetto agli antenati spirituali: se fino ad allora era stata la musica bianca a rubare tutto dai neri, ora sarebbero stati i neri a prendere qualcosa dai bianchi; non una cosa qualunque ma ... il ritmo! Ironia della sorte. La suddivisione del tempo - prima estetica che meccanica - che dai Kraftwerk in poi avrebbe rappresentato la musica leggera occidentale sarebbe stato il codice imperante. L'elettronica decretò ed è stato così.

Sarà l'hip-hop che con estrema consapevolezza a volte, decisamente meno in altre che svolgerà la funzione dei 'griot' in chiave moderna. E giù di spoken word e di dub-poetry. Come all'alba del be-bop prima e del free-jazz poi, dalle commistioni e dagli intrecci si svilupperanno nuovi virus e nuovi anticorpi. Eccoli. E' il nuovo millennio.

Ecco il trip-hop e ritorna la poesia. Sempre notturna. Più urbana. Sempre più alienata. Visionaria. Onirica e lacerata come una psichedelia elettronica al negativo. La lingua si inceppa ed il ritmo si spezza. E' la breakbeat, è l'Uk garage, è la dubstep.

Al culmine della tensione può seguire solo il down, l'aria si raffredda ed i colori si confondono, sempre più scuri. Ed è avant-hop. Ed è grime. Ed è abstract. E c'è anche un pò di sentimento ora che si è un po' più lucidi, mica solo i neri che fanno r'&'b hanno un cuore?

Them Waters. Plastic Bag Brain. Meltdown. 12 Deaf. Comatose. Londra, 2013. Ghostpoet. Dietro quegli occhiali degni di uno Spike Lee o di uno dei suoi neri intellettualizzati questa volta c'è un ex-assicuratore al mic e alle macchine, viene dalla City, niente politica, niente botte, solo flow che ritorna di nuovo fluido ed avvolgente.

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