Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Charisma
Anno: 
1970
Line-Up: 

- Peter Gabriel - voce solista, flauto, fisarmonica, tamburello e percussioni

- Anthony Phillips - chitarra acustica 12-corde, chitarra elettrica, salterio, voce

- Anthony Banks - organo, pianoforte, Mellotron, chitarra, voce

- Michael Rutherford - chitarra acustica 12-corde, basso elettrico, violoncello, voce




Tracklist: 

1. Looking For Someone (7:06)

2. White Mountain (6:42)

3. Visions Of Angels (6:50)

4. Stagnation (8:48)

5. Dusk (4:13)

6. The Knife (8:56)

- John Mayhew - batteria, percussioni, voce

Genesis

Trespass

Trespass può essere considerato il primo vero e proprio album progressivo dei Genesis, poiché l’ingenuo esordio From Genesis to Revelation, pur cercando di introdurre qualche elemento caratteristico di molte formazioni della fine degli anni ’60, era ancora troppo legato a canoni Pop.
Il sound Genesis si sviluppa proprio a partire dal 1970, condotto egregiamente dalla voce del carismatico Peter Gabriel e dall’architettura strumentale alquanto innovativa per l’epoca.
Le atmosfere disegnate sono tutte sognanti e cariche di melodia, vellutate e morbide (ad eccezione di quelle dell’inattesa The Knife), create dal sapiente uso di tastiere, chitarra acustica e flauto. I sei brani di cui Trespass si compone sono abbastanza lunghi e complessi, permettendo a Gabriel di muoversi con facilità durante il loro sviluppo.

Looking for Someone si articola in sette minuti, scandita dai motivi vocali dell’istrionico leader e compositore Gabriel: gli organi e le tastiere di sottofondo riempiono il tessuto, lasciando affiorare l’accompagnamento di pianoforte e la chitarra elettrica di Phillips, perfetta nelle risposte e assai coinvolgente. Viene così plasmato un bel Progressive Rock unito a Pop, che prende le distanze da tutta la produzione precedente, dando origine al cosiddetto “sound inglese”. Tale timbro, che si potrà evolvere negli anni d’oro del Progressive (1969-1976) attraverso la maestria di bands quali gli Yes, i Gentle Giant, i Camel e i Genesis stessi, si ritrova ancor più chiaramente nella seconda canzone di Trespass, la splendida White Mountain, che non stonerebbe sicuramente negli album successivi della discografia del quintetto britannico.
Le voci di tutti i componenti sono compatte nei cori, mentre Phillips culla con gli arpeggi dell’acustica, Mayhew si inserisce con un accompagnamento di batteria pressoché perfetto e Gabriel fa sognare ad occhi aperti con le sue melodie di flauto.
Non mancano in White Mountain passaggi oscuri e più introspettivi, che poco hanno a che fare con la matrice Pop della fine dei ’60, passaggi che subito vengono eliminati in Visions of Angels, raffinata ed elegante nel sua neo-classicismo.

Eterea e commovente è Stagnation, suite di ben nove minuti, affatto noiosa e invece carica di emozioni per l’alone romantico e composto che esprime: ampissime in Trespass le sezioni acustiche che sfociano in aperture melodiche e riprese di eccezionale valore, preparate saggiamente attraverso notevoli variazioni. A volte il song-writing si dimostra ancora immaturo perché non riesce a legare con efficacia gli splendidi temi composti da Gabriel e quindi non conferisce grande linearità e continuità alle suite, ma si percepisce già che il quintetto, con il tempo, potrà cambiare le sorti del Progressive.
Anche Dusk ricalca la direzione delle tracce precedenti e l’album potrebbe essere criticato per la sua scarsa connessione con il ritmo tipico del Progressive più spinto; tuttavia, la musica è espressione di emozioni, che non possono sempre scaturire da una composizione aggressiva e cadenzata, ma possono nascere da atmosfere particolari e curate, come quelle dei Genesis.
Non manca però il tanto atteso momento più impetuoso, costituito da The Knife, abbastanza in stile Emerson Lake & Palmer (sebbene i due gruppi avessero dato il via alla propria carriera nello stesso anno), con le sezioni di chitarra e organo in primo piano a creare riff potenti e scale vorticose. Reminescenze psichedeliche non stonano con il clima del finale e fanno tornare nel pieno degli anni ’60, appassionando costantemente l’ascoltatore.

Non rimane che lodare il lavoro di una band da poco nata e già capace di costruire uno stile personale, inedito negli anni ’70, e ispiratore di tante altre realtà che domineranno nel decennio delle passioni e dei miracoli progressivi. Non certamente un capolavoro, ma bello per la novità che porta con sé.

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