Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Etichetta: 
Rough Trade
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Adam Green - Testi, composizione musiche

Tracklist: 

01. Bluebirds

02. Hard to be a Girl

03. Jessica

04. Musical Ladders

05. The Prince's Bed

06. Bunnyranch

07. Friends of Mine

08. Frozen in Time

09. Broken Joystick

10. I Wanna Die

11. Salty Candy

12. No Legs

13. We're Not Supposed to be Lovers

14. Secret Tongues

15. Bungee

Adam Green

Friends of Mine

"We fall in love by accident / A heavenly coincidence / No matter what you think is true / Let me introduce you to some / Friends of mine / Oh, friends of mine"

Quali fattori potrebbero aiutare a fare il tanto decantato salto di qualità ad un menestrello folk che nel suo album d' esordio è riuscito a produrre del cantautorato adulto con il solo utilizzo di espedienti lo-fi ed immediatezze fanciullesche? Melodie ancora più fluide e passi di maggior qualità, mantenendo nei limiti del possibile allo stesso tempo la sincerità e l' immediatezza di chi ha iniziato la propria carriera parlando di pomodori e patate in un gruppo la cui traduzione in italiano significa pesche ammuffite.

Ed ecco infatti che l' anti-folk grezzo dell' esordio Garfield fa un passo indietro, lasciando spazio ad una componente pop che troverà man mano sempre più spazio nelle musiche del buon Adam Green. Registrato nei Dumbo Studios di New York Friends of Mine, secondo disco del Nostro, è senza dubbio il capitolo più famoso della sua esperienza solista, ma, come si conviene nella maggior parte dei casi, non il suo disco migliore. Gli asti per una vita troppo normale vengono qui sotterrati da un mood sempre allegro e sorridente, anche nei testi meno felici, riportando in auge gli act sixties intrise di oro e benessere per andare ad incidere un album esageratamente influenzato da quegli anni. Il minutaggio per ogni traccia si riduce, ed anche i rimti, adesso più veloci e volubili, si adattano: la registrazione è di buon livello ed è il maggior elemento di verifica per provare la strada che da qui in poi Adam Green intraprenderà, ovvero quella del pop barocco. Le esecuzioni risentono di questa imminente rivoluzione, e nonostante testi già perfetti nel suo stile Friends of Mine è costretto ad essere valutato in maniera ridimensionata per le trame acerbe divise a metà tra vecchio e nuovo. L' altro elemento su cui si poggia il disco, oltre che sulla chitarra acustica, è il violino, che aiuterà e non poco a rendere corposi i momenti di sola musica e ad aggraziare il tiro delle composizioni, riuscendo a nascondere alla grande una discreta carenza sotto questo aspetto di cui Adam Green risentirà ancora per poco.

Le quindici tracce volano, letteralmente, ma sicuramente un aspetto positivo risiede nel fatto che pur non inventando nulla di nuovo, Adam Green riesce ad estrapolare trame così sufficientemente valide per essere ricordate fin dal primo ascolto. La vera formula vincente delle tracce di Friends of Mine è quella di saper miscelare la tradizione country con melodie simpatiche ed accattivanti figlie di un modo attuale di pensare il cantautorato. Anche nella voce riesce a distanziarsi sempre più dal DIY man per eccellenza Daniel Johnston, per arrivare a sfiorare l' introspezione cinica del fumettista / cantante Jeffrey Lewis, risultando decisamente più maturo e coeso con gli elementi nuovi che contraddisitingueranno il Green della svolta ( e qui risiede anche il principale motivo dell' attenzione ricevuta con il tempo da Allmusic in parallelo con il crescente snobbismo di Pitchfork, che penalizzerà a più riprese per il fatto di non aver voluto rimanere un eterno giovane).

Friends of Mine è un disco felicemente barcollante che fonde allo stesso tempo ironia, amore e tristezza: ancora una volta chi si aspettava di trovarsi di fronte un artista che sappia ( e debba) trattare di uno solo di questi tre argomenti si dovrà adattare, sopportandolo prima quando ironizza su quanto sia difficile essere una donna e successivamente quando canta di Jessica Simpson, poi quando presenta il nuovo amore ai suoi amici ed infine quando decide di ammazzarsi perché il governo ha mentito. Il tutto con una naturalezza cosmica ed aggrazziante, derivante sì dall' importante pagina che il classic rock radiofonico ci ha lasciato, ma anche e soprattutto dall' umile pop ( anche la variante indie/pop grosso modo tiene il paragone) che partendo da zero arrivava al successo in men che non si dica con le canzoni giuste ( il recente back to the past con gli Housemartins ci ha detto più o meno questo). Ecco, Friends of Mine rispecchia ciò virando tutto in chiave folk, e con meno pretese di successo. Anzi, con la sola speranza di sopravvivere.

Spicca particolarmente la figura del giocherellone in versione cappellaio matto di Adam Green, che acquisisce finalmente personalità, fattore che lo distingue almeno di due spanne dall' episodio discografico precedente. Bluebirds è uno dei tanti esempi del suo cambiamento, che passa attraverso la ricerca di quel particolare riff lirico che elevi il passo folk, infoltito qui come già detto da una componente orchestrale molto timida e affatto prepotente. Con Hard to be a Girl sembra quasi di galoppare, con quei i violini al seguito a far svoltare il brano, mentre Jessica ( da cui verrà tratto il relativo EP) è un piatto d' oro per i più sensibili, in cui Adam si atteggia a divo sixties e sembra quasi di vederlo comparire illuminato dalle luci di un palco. Musical Ladders, The Prince's Bed e Bunnyranch rappresentano il folk maturo, le ambizioni pop e il country spensierato di cui è composto l' album, ad anticipare la fusione di tutto ciò, ovvero la title-track. Per il resto, come detto, si alterneranno tristezza posata ma allo stesso tempo irriverente ed intelligente ( No Legs e I Wanna Die) e scatenata felicità ottimamente armonizzata ( Salty Candy).

I limiti evidenti del disco sono quelli di essere attaccato ancora alle radici della tradizione americana, ribadite in modo assiduo anche in Friends of Mine grazie al brano We're Not Supposed to Be Lovers, che adotta addirittura in maniera sfacciata la stessa base di Bartholomew ( da Garfield). Il resto è affidato ad un teatro colorato, vivace e sarcastico, all' interno del quale Adam Green trova inevitabilmente la sua naturale posizione nel centro di tutto. Attorno a lui ruotano personaggi, sensazioni e fatti: piccole storie arricchite ulteriormente da una musica evoluta e indirizzata bene, ma ancora sin troppo acerba.

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