Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Roberto Vitale
Genere: 
Etichetta: 
Warner Bros
Anno: 
1988
Line-Up: 

- Robben Ford - Voce e chitarra solista
- Roscoe Beck - Basso a quattro e sei corde
- Russell Ferrante - Testiere
- Vinnie Colaiuta - Batteria

Tracklist: 

1. Talk to your daughter
2. Wild about you (Can't hold out much longer)
3. Help the poor
4. Ain't got nothin' but the blues
5. Born under a bad sign
6. I got over it
7. Revelation
8. Getaway
9. Can't let her go
 

Robben Ford

Talk to Your Daughter

Quando si cita il nome di Robben Ford, occorre necessariamente fare tanto di cappello, indipendentemente dal genere di musica preferito, poichè ci troviamo di fronte ad un vero signore delle sei corde, uno che è cresciuto a pane e jazz, ma che ha trovato nel blues la sua vera consacrazione internazionale. Chi lo ha visto in concerto sa che le sue performance riescono davvero ad essere trascinanti, il tutto grazie ad una tecnica cristallina e fortemente carica di feeling, non strabordante in un uso pazzesco di feedback ed effetti come l'ultimo Gary Moore, ma che più semplicemente punta all'anima di una musica che grazie a lui continua a scrivere pagine immortali.
Il chitarrista statunitense non è certamente un' artista di primo pelo, essendo nato nel 1951, e chiaramente ha dalla sua una serie innumerevoli di esperienze che lo hanno formato a livello musicale, prima fra tutti quella rappresentata dall'essere uno dei componenti della Charles Ford Band, la band del padre (guarda un pò che fortuna), anche se di ben altro spessore risultano le collaborazioni con mostri sacri del calibro di Miles Davis, Jimmy Whiterspoon e più recentemente con un altro chitarrista monstre, Larry Carlton.
Riuscendo a muoversi con disinvoltura in territori blues e jazz, nel 1988 grazie all'aiuto di Ted Templeman, noto per avere lavorato dietro la consolle per i Van Halen dell'era David Lee Roth e ancora prima per i Doobie Brothers, come produttore esecutivo e di Scott Ferguson, Ford realizzerà uno dei suoi album sicuramente più elettrici dove le coordinate blues, diventeranno intrecci irresistibili, capaci di conquistare un pubblico sempre più ampio che offrirà al chitarrista la possibilità di diventare una superstar anche in ambito discografico.

Ed in effetti Talk to your daughter ci presenta un gruppo di musicisti in forma smagliante, sicuramente capace di divertirsi durante la realizzazione del disco, dove tutto funziona alla perfezione, e di offrire una quarantina di minuti di musica con la M maiuscola, che sebbene ben inserita in un contesto rock blues, sa essere apprezzata anche da chi non è avvezzo a sonorità di questo tipo.
Il disco, come in ogni buon album blues che si rispetti, spazia tra composizioni originali dello stesso Ford e da classici intramontabili, basta citare la sempre splendida Ain't got nothin' but the blues, composta da Duke Ellington e qui riproposta in versione intimista con le corde della chitarra che vengono accarezzate e accompagnate da un timbro vocale sicuramente non eccellente (Ford infatti non possiede una voce negroide, e certamente non ha il carisma vocale ad esempio di Eric Clapton), ma che modula i toni in modo ragionato, come a volere chiedere scusa per questa propria "carenza", il tutto però con gentilezza, con garbo, come se il blues si fosse messo l'abito della festa.
Stesso concetto per Born under a bad sign praticamente incisa da tutti i bluesman, anche se la versione migliore resta indubbiamente quella di Albert King; vero grido di sofferenza e inno blues ultragenerazionale, qui trattata con i guanti gialli, ma pronta a graffiare sia a livello di arrangiamento che di solo chitarristico.
E che dire della saltellante Help the poor, che dal vivo trova una sua particolare dimensione venendo allungata a dismisura, trovando il conforto di un sassofono che instaura con la chitarra un dialogo quanto mai vivace, mentre nella versione da studio che troviamo nell'album , si bada più alla sostanza con un sound senza fronzoli che si avvicina notevolmente al rock, cosa che del resto troviamo nella title track, dove Ford fa letteralmente esplodere la sua sei corde. Un amore quindi per la musica che non conosce barriere se consideriamo i due opposti estremi del disco, la rockeggiante Wild about you, unita alla nera fino al midollo I got over it, dove special guest alla batteria troviamo il grande e sfortunato Jeff Porcaro dei Toto, e la dolce, intimista Getaway, uno dei due brani composti da Robben Ford presenti nel disco.

Inutile parlare della bravura dei musicisti che accompagnano Ford in questa sua avventura, ma una particolarità va sicuramente spesa per Vinnie Colaiuta, dotatissimo batterista che nel corso della sua carriera ha prestato le sue pelli ad artisti del calibro di Frank Zappa e Sting, oltre ad aver suonato anche con Vasco Rossi.
Colaiuta è colui che sostiene Ford nelle sue evoluzioni chitarristiche, grazia ad una macchina ritmica che non perde un colpo, incalzante quando serve, docile quando non bisogna spingere sull'acceleratore.

Si tratta di un disco consigliatissimo non solo agli amanti del blues, ma perchè no, anche agli amanti delle sonorità più ruvide; certo, qui non si troveranno distorsioni e velocità folli, solo un grande innamorato della propria musica, un innamorato di un genere, che grazie a lui continua a scaldare i cuori di tanta gente, e questo non è poco.
 

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