Voto: 
6.7 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Roine Stolt - chitarra, voce
- Tomas Bodin - tastiera, cori
- Hans Froberg - voce, chitarra
- Jonas Reingold - basso, chitarra acustica, voce
- Marcus Liliequist - batteria, percussioni, cori
- Hasse Bruniusson - marimba, percussioni aggiuntive


Tracklist: 


CD 1:
1. Check In (01:37)
2. Monsters & Men (21:21)
3. Jealousy (03:22)
4. Hit Me With A Hit (05:32)
5. Pioneers Of Aviation (07:49)
6. Lucy Had A Dream (05:28)
7. Bavarian Skies (06:34)
8. Selfconsuming Fire (05:49)
9. Mommy Leave The Light On (04:38)
10. End On A High Note (10:43)

CD 2:
1. Minor Giant Steps (12:12)
2. Touch My Heaven (06:08)
3. The Unorthodox Dancinglesson (05:24)
4. Man Of The World (05:55)
5. Life Will Kill You (07:03)
6. The Way The Waters Are Moving (03:12)
7. What If God Is Alone (06:58)
8. Paradox Hotel (06:29)
9. Blue Planet (09:42)

Flower Kings, The

Paradox Hotel

Un ritorno al vecchio sound: così può essere definito Paradox Hotel, lavoro del 2006 degli svedesi The Flower Kings che, rinnovati nella line-up, si discostano alquanto da ciò che era stato prodotto nel 2004 con Adam & Eve. Se il precedente, grazie all’apporto di Daniel Gildenlow (Pain of Salvation) aveva mostrato un lato più moderno della band che da anni si esprime ai massimi livelli del Progressive sinfonico del terzo millennio, questo Paradox Hotel, formato dai consueti due dischi di un’ora ciascuno, riprende formalmente tutte le caratteristiche del sound dei ’70, quello di Yes e Genesis, correndo parallelamente alle produzioni contemporanee di Kaipa e The Tangent.

Ciò che stupisce da subito è l’elevato numero di opere composte dai due song-writers dei The Flower Kings, ovvero il cantante/chitarrista Roine Stolt, che nel 2005 aveva esibito in Wallstreet Voodoo la sua vena chitarristica più legata al Rock tradizionale, e il tastierista Tomas Bodin, che nel frattempo aveva pubblicato l’introspettivo I Am, anch’esso buona prova nel panorama Progressive.
Ancora ricchissimi di idee, i due musicisti plasmano Paradox Hotel, che da subito assume una connotazione positiva attraverso la lunghissima suite Monster & Men, totalmente figlia degli Yes di Fragile, con la tastiera a delineare l’architettura sonora e la chitarra ad abbandonarsi ad assoli e temi alquanto convincenti.
Tutto è calcolato nei minimi particolari, e nessuno spazio viene lasciato all’improvvisazione: anche la voce di Roine Stolt rimane posata e composta, quanto quella di Neal Morse nei suoi innumerevoli progetti non lontani dal timbro dei The Flower Kings. La batteria nella nuova formazione è suonata da Marcus Liliequist, che già aveva accompagnato Tomas Bodin nella sua esperienza discografica personale: seppur non tecnico ed esperto come il batterista precedente, Marcus trova delle brillanti soluzioni sia nel disegnare il tessuto ritmico della suite, sia nella splendida Hot Me With a Hit, originalissima canzone provvista di tempi coinvolgenti che sapranno appassionare gli amanti del Progressive.
Più scontata invece la strumentale Pioneers on Aviation, a cavallo tra la maestosità gli Emerson Lake & Palmer di Tarkus e alcune scelte raffinate in stile Camel, che si ritrovano nella seguente Lucy Had a Dream, una ballata condotta da una voce parecchio espressiva che saprà colpire per il suo particolare approccio. L’album si perde in certi passaggi centrali di ciascuna canzone, troppo piatti e privi di idee efficaci, ma nel complesso scorre velocemente senza tralasciare respiri atmosferici ed oscuri, come l’altrettanto inusuale Bavarian Skies, che ha un sapore tipico delle opere orchestrali Progressive Rock, come Dracula, la fatica del 2005 dell’italiana Premiata Forneria Marconi.

Si alternano episodi totalmente insignificanti (Mommy Leave the Light On) ad altri sì decisamente carichi di emozioni, ma troppo uguali al sound degli anni ’70: ne è un esempio End on a High Note, che assomiglia ad una And You And I degli Yes, sia nella direzione acustica e melodica che assume, sia nell’interpretazione data dal quintetto svedese.
Le tastiere di Bodin riempiono bene la composizione, per poi ricomparire nel secondo disco, nella suadente Minor Giant Steps, capitolo alquanto disteso e sognante, che non perde il suo feeling tradizionale e che propone idee sicuramente interessanti.
E così, attraversando le varie tracce del secondo disco, si nota una certa mancanza di mordente da parte di una band troppo rimasta fedele ai canoni dei Settanta e troppo poco atta all’innovazione; l’elettronica è certo l’elemento che fa la differenza rispetto alle classiche opere datate, ma il suo impiego è moderato e non onnipresente.

In definitiva, vale la pena ascoltare Paradox Hotel se si vuole comprendere come i The Flower Kings abbiano lavorato in assenza di Daniel Gildenlow: l’album potrà piacere o agli affezionati della band o a chi cerca rifugio in un passato Progressive abbastanza statico e a tratti monotono, ma chi ama sperimentazioni più moderne resterà deluso dalla nuova linea di song-writing di Stolte, Bodin e compagni.

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