Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Gravenimage
Genere: 
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2008
Line-Up: 

Apollo Papathanasio - Voce
Gus G. - Chitarra
Bob Katsionis - Tastiere
Petros Christo - Basso
Mark Cross - Batteria

Tracklist: 

1. Into the Fire
2. Head Up High
3. Mercenary Man
4. Angels Forgive Me
5. Remembered
6. My Loneliness
7. Circle Of Life
8. The Silent Code 
9. Maniac (Michael Sembello cover)
10. Life Foreclosed

Firewind

The Premonition

Faccia ammenda chi ha dichiarato il power metal un genere finito, tiri un sospiro di sollievo chi aveva pensato che i bei tempi andati fossero andati. Si sbagliava. Quando il power sembra condannato e bruciato da mille uscite deludenti, sempre risorge dalle ceneri, ad opera di qualche vecchia band mai doma, o qualche nuovo debutto, o ancora, ed è questo il nostro caso, di singoli acts non troppo conosciuti che hanno bisogno di tempo, pazienza, fortuna, fiducia o qualche altra spinta improvvisa, per arrivare in cima. I Firewind non sono propriamente un caposaldo del metal. E’ vero che la Grecia, loro paese di provenienza, non può vantare un substrato particolarmente florido, sebbene alcune realtà che si sono fatte strada non manchino, ma questo non fa che sottolineare ulteriormente la classe di Gus G.

    Ma chi è costui? Sotto questo nome da deejay tribal house, si nasconde Kostas Karamitroudis, già chitarrista dei Dream Evil e dei Mystic Prophecy, ma per cui i Firewind rappresentano da almeno dieci anni il vero e unico amore, la creatura. E mentre fino ad ora i quattro album della band, pur venendo apprezzati e ascoltati da un numero sempre maggiore di amatori, non avevano ancora raggiunto livelli eccelsi, con questo The Premonition il salto di qualità del buon Gus e soci è netto e spalanca le porte di un meritato successo.

    Into the Fire è la degna opener di un lavoro che si dimostra carico ed ispirato. I canoni parrebbero quelli di un power metal “sporco”, più vicino al filone hard rock che a quello melodico scandinavo, in cui le tastiere non svolgono un ruolo importante, e il riffing delle chitarre è veloce e tagliente. Il paragone che inizialmente viene in mente è quello con i Manticora, altra band che ha rappresentato, negli ultimi anni, il muso più duro e progressivo del genere. Ma la prima traccia dice in realtà molto sullo spirito ma poco sullo stile dei greci, perché già con la seconda Head Up High e la sua melodia spumeggiante ci si avvicina ad acts alla Hammerfall, dalla linearità maggiore, con tanto di ritornello anthemico. E sempre sulla stessa lunghezza d’onda si trova Mercenary Man, in cui appare prepotente il substrato hard rock a cui il power e i suoi musicisti devono tantissimo, e a cui i Firewind attingono a piene mani ma con grande sicurezza. In effetti, pur effettuando una certa commistione di generi, è questa seconda anima la più vivida e presente.
    Più moderna Angels Forgive Me, uno dei pezzi forti del platter, che variando la sua struttura e inserendo qualche riff di tastiera, trascina tra mid tempos e bridges più rapidi in cui il songwriting di Gus si rivela nella sua veste più raffinata. Siamo ormai entrati nella parte centrale dell’album, che esplode con lo spettacolare ritornello di Remembered, opposto a un riffing di apertura quasi thrash: la canzone è concepita in modo semplice ed efficace, e ai concerti sarà con buona probabilità uno dei cavalli di battaglia più inneggiati dei greci.

    E la seconda parte del platter non è da meno della prima, rivelando che se i Firewind hanno qualche debolezza, non riguarda l’abilità creativa. Si passa, come ormai si riesce a codificare con chiarezza, da territori più melodici (My Loneliness), a contrade di gusto hard rock (Circe Of Life) e non si disdegna anche un po’ di esperimento ironico, proponendo la cover di Maniac, più nota come uno dei tormentoni disco music del film Flashdance. Per un piacevole assurdo, siamo davanti ad uno dei capitoli più accattivanti dell’album, che dimostra come Gus e compagnia sappiano dimostrare, all’occorrenza, di avere un buon potenziale in fatto di elasticità mentale.

    In conclusione con l’ottimo The PremonitionFirewind e Gus hanno compiuto un deciso passo avanti verso una definitiva consacrazione, riuscendo a sfornare uno degli album più attraenti dell’anno in ambito power. Il merito maggiore che si deve sottolineare riguarda l'uso equilibrato delle varie influenze, che rende meno evidente il debito che i Firewind potrebbero avere verso band del passato prossimo o remoto, e soprattutto l'estrema orecchiabilità delle parti più melodiche, che sanno trascinare e catturare senza apparire ridondanti. Un mestiere che ultimamente riesce bene a pochi, e meglio ad altrettanti (il nome Hammerfall risuona come un tuono in lontananza). Ci si augura comunque che il livello possa ancora salire, e non sarebbe stupefacente, viste le premesse e il fatto che ci troviamo di fronte ad una band relativamente giovane. C’è come, aleggiante, un senso di… premonizione.

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