Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Etichetta: 
Kompakt
Anno: 
2011
Line-Up: 

-Alex Willner - Produzione

Tracklist: 

01. Is This Power
02. It’s Up There
03. Burned Out
04. Arpeggiated Love
05. Looping State of Mind
06. Then It’s White
07. Sweet Slow Baby

Field, The

Looping State of Mind

Looping State of Mind, terzo episodio per la favola The Field edito come di consueto per la Kompakt, oltre che un gradito ritorno rappresenta una svolta per il barbuto svedese, e forse anche per il mondo dell' elettronica in generale. Se infatti From Here We Go Sublime si era dimostrato un album profetico, oltre che leggendario, per i precisi dettami che seppe infondere nella musica techno, e Yesterday and Today il definitivo assestamento, una prova di forza sotto molti punti di vista, il nuovo disco cerca di installare questa consolidata dimensione nelle nuove incalzanti correnti monopolizzanti la musica odierna. Una utopia quella del signor Alex Willner quanto mai spiazzante, soprattutto se pensiamo alla piena situazione di stallo in cui sono coinvolti certi ambienti elettronici, che troverà una risposta definitiva solo col passare degli anni, quando potremo allora osservare se le teorie spericolate contenute nelle sole sette tracce di Looping State of Mind avranno imposto precise influenze.

Per adesso "accontentiamoci" di salutare l' opera come ennesima stupefacente prova di The Field, mai come adesso sbilanciato nel produrre una fascinosa arte protesa verso una forma di psichedelia, nel senso generale del termine, annichilente per proporzioni e contenuti. L' assottigliamento delle basi viene abbandonato in favore di una techno dal tiro maggiormente ambizioso che più volte deve essere fermata, limitata nell' ardore, perché davvero c'è il rischio di dilagare sul percorso di una forma precoce di deep house ( come vedremo ciò avverrà solamente in un caso), mentre ciò che per fortuna non viene a mancare è l' assetto ambient, un marchio di fabbrica consolidato. La vera sorpresa però è data dalle numerose deviazioni cui la musica di The Field verrà sottoposta: diverse componenti shoegaze e glo-fi avranno infatti il compito di intaccare le naturali leggi che fino ad ora avevano regolato il mondo di questo particolare artista, imponendo marce adesso meno eleganti e più accelerate, capaci di ritmiche fluttuanti ma al contempo maggiormente variegate ed interessanti. La sobrietà si sacrifica per fare spazio ad ulteriori tecnicismi, ma in ogni caso stupisce la capacità di sapersi accostare a generi che fino ad ora sembravano lontani anni luce dagli stilemi della club music; avvicinamento che per di più avviene con grande facilità e cinismo, capace non solo per questo di consegnare a Looping State of Mind l' etichetta di disco più eclettico del duemilaundici. Come i suoi predecessori viene recuperato l' ipnotismo cerebrale, definibile ancora mediante i tipici cicli continui - detti appunto Loop - da cui il disco prende il nome, ma se una volta la suddetta caratteristica sarebbe risultata efficace per descrivere un disco di The Field, adesso ci perderemmo tutta quella giostra di omaggi a gruppi più o meno consacrati.

Al solito però più delle parole contano i fatti, e l' incipit dell' album può costituire un chiaro esempio della visione artistica con cui stiamo avendo a che fare: Is This Power è un brano turgido e potente, figlio della musica minimalista ma capace soprattutto di omaggiare nella prima parte Detroit ( con qualche rimodellamento delle imperfezioni) e dintorni, per poi lasciarsi andare con un accenno di dance, dal piglio sicuramente istintivo quanto caciarone. Subito dopo parte It's Up There, la dimostrazione di quanto Alex Willner sia ancora voglioso di sperimentare il suo credo su piste diverse. La melodia è spietatamente indirizzata verso la house, ma è grazie a dei particolari esotismi ed ai rimandi alla funky music che il tutto non si trasforma in un anthem possente, e quindi in qualcosa che non appartiene al minimalismo di The Field, mentre sono da segnalare alcune linee marcatamente post-punk. Grandi meriti sono invece riposti nella successiva Burned Out, primo vero riferimento all' elettronica di Washed Out ed allo shoegaze di How To Dress Well: l' immaginifico risultato è impresso nei sette minuti della traccia, che condensa amabilmente una voce da crooner, simile al genietto indie James Blake, con i lineamenti cupi ed ambient della musica. Paragoni ambigui? Niente affatto. Bisogna infatti tenere presente che Looping State of Mind è il primo della serie ad abbracciare piste convenzionalmente più solcate dalla massa, nonché episodio dotato di una maggiore facilità di alternanza negli stili; in questo caso ci siamo infatti spostati su quella new wave improntata su un pop-rock d' effetto abusata in questo periodo da tanti. Per fortuna però che il disco non è composto solo da nuovi ritmi: Arpeggiated Love richiama molti dei temi portanti di Here We Go Sublime, installando lungo i ben dieci minuti di cui è composta evidenti sample di origine soul su di un tessuto minimal techno languido e soffice, mentre la title-track devia il precedente pop succulento per inoltrarsi sulla deep house, anteponendosi persino come la traccia più segnata dallo sballo elettrico del kraut. Then It's White si supera, riuscendo ad abbagliare l' ascoltatore per l' inserimento della classica su basi preparate. Ad essere precisi, per le intense atmosfere ed una certa cupezza islandese dovremo parlare di neo-classica, ma in ogni caso di questo mondo percepiamo solo il pianoforte, mentre tutto il resto è dovuto al tipico afflato delle composizioni di The Field: etichette a parte, il brano, seppur dotato di una certa staticità contro corrente al dettato di Looping State of Mind, è sicuramente uno dei più efficaci. La chiusura è invece destinata alla straniante Sweet Slow Baby, che nulla aggiunge all' opera se non un' altra massiccia dose di schemi ripetitivi, a cui va aggiunta in questo caso forse fin troppa leziosità.

Lungo lo spazio della presente recensione mi sono occupato spesso di paragonare Looping State of Mind con gli altri due episodi discografici, ma ciò che differenzia nettamente le altre uscite da questa è in particolar modo la voglia di cambiare, osare, di Alex Willner. Se con l' uscita di Yesterday and Today si aveva la necessità di rimarcare, sottolineare, una propria cifra stilistica, adesso fortunatamente la musica di The Field non si accontenta di ripetere la lezioncina a memoria, sfornando un disco bulimicamente variegato, dove ci si può aspettare di tutto e di più ed in cui appare impossibile delineare un suono chiaro da cui il tutto si svolge. Certo, molti temi minimali svolgono ancora alla perfezione il loro sporco lavoro, ma anche laddove le esecuzioni si strutturano diversamente non si assiste ad un calo ispirativo, anzi. Come dicevamo in apertura, difficile pronosticare fin da subito il ruolo ( più o meno importante) che l' opera svolgerà all' interno del mondo elettronico, in ogni caso non è da escludere che tale sfrontatezza non possa ripercuotersi positivamente sulla piattezza cronica dei nostri giorni. Speriamo bene.

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