Voto: 
4.0 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Lion Music/Frontiers
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Marco Ferrigno - chitarra
- Tony Franklin - basso
- Marco Minnemann - batteria

Guests:
- George Bellas - chitarra in Night In Babylon
- Javier Leal - chitarra in Tower Of Babel e Secret Garden

Tracklist: 

1. Temple Of Time
2. Night In Babylon
3. Tower Of Babel
4. Sacred City
5. Meditteraneo
6. Secret Garden
7. Varanus Komodensis
8. Closer To The Wind

Marco Ferrigno

Hanging Gardens

Tre anni dopo la pubblicazione di Promised Land, progetto insieme al tastierista ucraino Vitalij Kuprij, il chitarrista messicano Marco Ferrigno si è dedicato a stendere il progetto personale, rappresentato dall’uscita di Hanging Gardens, sotto l’etichetta Lion Music Records.
Come per ogni lavoro di stampo Progressive/Neo Classico che è stato realizzato in questo periodo, vengono valorizzate la tecnica degli strumentisti e il loro gusto per le partiture complesse: ad affiancare Marco nell’opera sono intervenuti il bassista Tony Franklin (Blue Murder e The Firm) e il batterista Marco Minnemann.

Ciò che usualmente manca a tutti i lavori neoclassici è l’assenza di sentimento e lo stesso discorso deve essere fatto per Hanging Gardens, album strumentale completamente votato a scoprire le tecniche di chitarra distorta elaborate da Ferrigno. Nelle otto tracce che compongono il platter, eccetto le elevate preparazione ed abilità nell’esibirsi in assoli velocissimi ed alquanto difficili, non si percepiscono elementi convincenti, poiché il song-writing è scarso e non aggiunge nulla di originale a tutta la produzione neoclassica moderna.
Ecco il motivo per cui le canzoni scorrono via senza personalità, sprovviste di quel feeling coinvolgente ed al tempo stesso innovativo che permea ormai troppi pochi dischi neoclassici: sarebbe pertanto abbastanza inutile analizzare brano per brano un’opera così mal strutturata e monotona. Basti pensare che le i pezzi si assomigliano in tutta la loro lunghezza e l’ascoltatore fatica ad identificare con precisione ciascun capitolo, dato il loro incedere di note ed assoli.
Presente qualche influenza orientaleggiante, in tracce come Tower of Babel, Secret Garden e Closer to the Wind, forse tra le più rappresentative del platter, ma il complesso appare scontato e banale.

In definitiva, un’amara insufficienza per un chitarrista dotato di un’estrema facilità di esecuzione, ma privo del buon gusto di non ammassare sezioni strumentali tanto tecniche ed intricate, quanto stancanti e pesanti da ascoltare.
Rimane pertanto solo da chiedersi perché nel 2006, dopo tanti anni di critiche nei confronti delle bands-clone che popolano il panorama progressivo odierno, vengano ancora proposti album come Hanging Gardens, probabilmente ben curato solo a livello di artwork, privo invece di tutte le caratteristiche che portano alla composizione di un full-lenght discreto.

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