Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Bureau B
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Geraldine Swyne - Tastiere, Chitarre, Voce
- James Johnston - Tastiere, Chitarre, Voce
- Jean-Hervé Péron - Basso
- Werner "Zappi" Diermaier - Batteria

Tracklist: 


1. Tell the Bitch to Go Home
2. Herbststimmung
3. Something Dirty
4. Thoughts of the Dead
5. Lost the Signal
6. Je Bouffe
7. Whet
8. Invisible Mending
9. Dumpfauslaass 1
10. Dumpfauslass 2
11. Pythagoras
12. Save the Last One
13. La Sole Dorée

Faust

Something Dirty

I Faust, nonostante lo scarso riconoscimento a livello di fama e successo commerciale, sono stati una band cult per gli appassionati della musica colta e d'avanguardia che a cavallo tra anni '60 e '70 ha preso piede in Germania, dando vita a un'intera scena, basata su una sperimentazione folle e libera da qualsivoglia struttura convenzionale, che verrà poi battezzata kraut-rock.
Dopo lo scioglimento avvenuto nel 1975, a seguito della pubblicazione di soli quattro dischi (ognuno dei quali viene tuttora considerato tra i più fulgidi esempi di rock sperimentale di ogni tempo dalla critica specializzata e da una larga fetta d'ascoltatori aperta a scelte più particolari e sofisticate), i Faust si sono ritirati dalle scene fino al 1990, anno in cui la band ha ricominciato a comporre e pubblicare materiale inedito, seppur comprensibilmente lontano dai picchi geniali della loro prima incarnazione.

Nel 2011, però, i Faust non solo non sono più formati dagli stessi membri della line-up originale, ma sono addirittura scissi in due diverse formazioni (entrambe chiamate "Faust"): la prima (capitanata da Hans-Joachim Irmler, organista e fondatore del gruppo) ha rilasciato nel 2010 un doppio album intitolato Faust Is Last, che secondo i piani doveva essere l'ultima release del gruppo, mentre l'altra (messa in piedi dal batterista Werner "Zappi" Diermaier e dal bassista Jean-Hervé Péron, anch'essi fondatori del complesso originale) ha pubblicato nel 2009 C'est Com...Com...Complique, per poi  rilasciare (contraddicendo la politica della formazione parallela) un nuovo lavoro, Something Dirty.

Se C'est Com...Com...Compliqué appariva come un disco piuttosto delicato nelle atmosfere, e il parallelo Faust Is Last raccoglieva, invece, la quasi totale eredità dell'esperienza Faust in un doppio album che amalgamava adeguatamente gli elementi cosmici in articolate improvvisazioni e in collage elettronici, Something Dirty si basa invece su soluzioni diverse rispetto al passato recente della band: il sound "spaziale", marchio di fabbrica dei Faust fin dal loro esordio, è sempre presente, ma è reso non più (solo) attraverso arrangiamenti "eterei" o delicati come nel precedente full-length, bensì sfruttando maggiormente dissonanze e rumori (che fanno pensare anche al noise o all'industrial in casi sporadici) che vedono il loro precedente più nei primi dischi post-reunion - un esempio può essere la suite Na Sowas di You Know Faust - che nelle composizioni più "abrasive" dei primissimi dischi (delle quali appaiono perlopiù come estremizzazioni). Ciò non va letto però come un radicale rovesciamento del modo di far musica che ha reso celebri i Faust negli anni '70, perché seppur i mezzi siano ampliati in quest'ultimo album, il mood del disco rimane sempre quello tipicamente kraut-rock, velato da una patina di ironia e umorismo anti-intellettuale, dei fasti passati.

A prova di quanto detto, un'inedita distorsione alienante (in cui riecheggiano tanto i dischi dei Chrome quanto le tastiere dei Suicide) apre Tell the Bitch to Go Home, brano che poi prosegue invece su binari più tradizionalmente faustiani (e tra un feedback e un altro, è impossibile non riconoscere il sound che ha reso celebri lavori come il debut o Faust IV).
La successiva Herbststimmung, invece, nasce con alcuni suoni fumosi e spaziali, che acquistano forza e consistenza con il passare dei minuti, per diventare progressivamente più rumorosi e corposi (senza però abbandonare di vista la melodia cosmica d'apertura, scelta che può anche riportare alla mente lo shoegaze).
A seguire vi sono la title-track (primo brano che presenta un cantato), aperta da inquietanti rumori elettronici degni dell'industrial degli Einstürzende Neubauten, e caratterizzata da un'evoluzione concettualmente opposta rispetto al pezzo precedente, aumentando man mano le aperture melodiche e riducendo gli effetti alienanti d'apertura - che rimangono comunque presenti fino alla conclusione del brano -, e Thoughts of the Dead, inquietante monologo sostenuto da un tessuto elettronico arido e desolante, che risente nuovamente di echi degli Einstürzende Neubauten.
La lunga Lost the Signal è invece una composizione che riflette una certa continuità con C'est Com...Com...Compliqué, per via del cantato (quasi recitato) femminile in francese e del mood più serioso e atipico, seppur presenti una componente psichedelica (per via delle sfuriate di chitarra) che mostra debiti maggiormente con i dischi della prima incarnazione della band, e che esplode definitivamente con il turbinio sonoro a conclusione del pezzo.
Con la brevissima Je Bouffe vengono brutalmente tagliati i ponti con le atmosfere del brano precedente, rivelandosi un pezzo adrenalinico fin dall'inizio, mentre il successivo collage elettronico di Whet riporta alla luce idee partorite già ai tempi del debut omonimo.
Al contrario Invisible Mending riprende i contenuti più intimisti ed eterei di Lost the Signal, sintetizzandoli e semplificandoli, mentre con i due movimenti di Dumpfauslass i Faust ne amplificano la componente psichedelica e rumorosa, che viene ora accompagnata da una base ritmica quasi post-punk (Dumpfauslass 1), ora estremizzata fino a raggiungere i livelli rumorosi dei Velvet Underground (Dumpfauslass 2).
Pythagoras mostra nuovamente un sound psichedelico e rumoroso, sostenuto da una batteria propellente, rivisto questa volta in chiave più sperimentale e avanguardistica; il brevissimo interludio di Save the Last One, totalmente acustico, prelude quindi alla traccia che chiude il ritorno dei Faust, La Sole Dorée, che preferisce all'inizio un'atmosfera più soft e velata da tinte dark, contaminandola via via tramite l'utilizzio di distorsioni psichedeliche - comunque meno incisive rispetto a quelle che caratterizzano il resto del lavoro -, reminescenti di quelle dei Sonic Youth.

In nemmeno un'ora si conclude così il decimo capitolo della saga dei Faust.
Si tratta in definitiva di un album che non farà certamente - quanto giustamente - gridare al capolavoro né i fan della band né gli amanti del krautrock o dell'avanguardia in generale: seppur il ritorno si riveli efficace e piacevole da ascoltare, i Faust non azzardano scelte nuove, bensì riassemblano e/o estremizzano componenti già presenti e approfondite nei precedenti lavori, in tal modo limitando decisamente la portata di questo disco.
Ma in fondo, a quarant'anni da uno debutti più esplosivi della storia del rock, sarebbe quanto mai azzardato aspettarsi una nuova ventata rivoluzionaria da parte dei Faust, e perciò Something Dirty si deve ascoltare, per evitare delusioni, per quello che è, senza aspettarsi nulla di sensazionale: un discreto disco krautrock, composto da una band che non vuole (e non deve) ormai dimostrare più nulla a nessuno.

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