Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Etichetta: 
Metal Blade
Anno: 
1988
Line-Up: 

Ray Alder – vocals
Frank Aresti – guitars
Jim Matheos – guitars
Joe DiBiase – bass
Steve Zimmerman – drums

Tracklist: 


1. No Exit
2. Anarchy Divine
3. Silent Crisis
4. In A Word
5. Shades Of Heavenly Death
6. The Ivory Gate Of Dreams – I. Innocence
7. The Ivory Gate Of Dreams – II. Cold Daze
8. The Ivory Gate Of Dreams – III. Daylight Dreamers
9. The Ivory Gate Of Dreams – IV. Quietus
10. The Ivory Gate Of Dreams – V. Ivory Towers
11. The Ivory Gate Of Dreams – VI. Whispers On The Wind
12. The Ivory Gate Of Dreams – VII. Acquiescence
13. The Ivory Gate Of Dreams – VIII. Retrospect

Fates Warning

No Exit

Quanti nomi nel panorama musicale hanno una doppia vita? E non ci riferiamo alla vita personale dei singoli musicisti ma alla vera e propria esistenza all'interno di quell'infinito racconto che è la storia della musica. Un'esistenza assolutamente fondamentale per alcuni, molto spesso veri estimatori del genere in questione, un nome del tutto nuovo per altri i quali non hanno mai avuto il piacere di assaggiare un solo brano della band. Ma qui non si tratta di roba da appassionati, non stiamo parlando di uno di quei gruppi che ha fatto il botto con un album, forse due, ha creato un vero e proprio popolo di fan emulatori per poi scomparire dalle scene e non riuscire più ad essere all'altezza: qui stiamo parlando dei Fates Warning, una delle band che ha più contribuito alla nascita ed allo sviluppo del progressive metal e che più di tutte è stata in grado di reinventarsi anche grazie alla singolare ispirazione della propria mente luminare, un certo Jim Matheos.

No Exit non è un album preso a caso dalla loro discografia, rappresenta la prima forte virata verso sonorità progressive, un passaggio non da poco considerando che la band, prima di quel fantomatico 1988, portava avanti un heavy metal britannico, molto devoto a band come Iron Maiden, nonostante le radici statunitensi. Un'evoluzione? Meglio dire una metamorfosi agevolata dalla incredibile ugola di Ray Alder ma il vero complice di questo cambio di pelle è lo stesso Jim, principale compositore. Fin da Anarchy Divine, succesore della title track che fa da intro all'album, le melodie ed i riff di chitarra esprimono la loro posizione di prestigio nel sound dei FW, pur non prevaricando ma anzi coadiuvandosi da una sezione ritmica dal sapore queensrychiano, calzante come un vestito che aderisce quasi fosse una seconda pelle. L'estro in Silent Crisis è quasi tastabile, ma non si parla di assoli e di riff immortali, bensì anche di stacchi, di effetti e di tutto ciò che può impreziosire un brano partorito da menti aperte. In A Word non è solo una ballad, è il vero baluardo della band e del sound che di lì in avanti stava nascendo: parti ben costruite che si alternano con arrangiamenti fini e soprattutto emotivamente implacabili, il tutto inframmezzato anche da momenti più energici che strappano via il pathos dei minuti più lenti per offrire una percezione del tutto nuova di cosa il prog metal può offrire. Ma la vera e propria potenza tecnica giunge con Shades Of Heavenly Death: diretta, precisa, costante, decisa, quasi chirurgica nei suoi cambi di tempo, rappresenta forse il tratto più heavy della formazione targata '88, la quale è sempre bilanciatissima tra l'anima rock e quella metal della stessa medaglia che prende il nome di “Progressive”.

Ma il lato più sperimentale emerge con la lunga The Ivory Gate Of Dreams, forse un presagio della futura A Pleasant Shade of Gray (unico brano dell'omonimo album), nella quale si toccano le varie anime della band, quella più acustica in Innocence come quella più heavy ma sempre portatrice di forti affronti alla tecnica come in Cold Daze, affronti che riescono a concretizzarsi minuto dopo minuto, riff dopo riff e che finiscono per impazzire sotto la folle Acquiescence. Spesso i brani suddivisi in sezioni contengono un unico filo logico mentre le singole parti vivono di luce propria (vedi Rush nel caso di 2112, Dream Theater in Six Degrees Of Inner Turbolence e Liquid Tension Experiment in Three Minutes Warning), qui invece è impossibile vivere ogni composizione come un brano “stand-alone” ma è l'intera traccia The Ivory Gate Of Dreams che conquista per il suo valore integrale, come fosse un'opera più che un brano.
Un voto per questo album che deve obbligatoriamente prendere in considerazione, oltre la classe, l'importanza dello stesso all'interno del genere. Per tale ragione il giudizio è assolutamente positivo, senza via di uscita.


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