Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Lorenzo Iotti
Genere: 
Etichetta: 
Pure Steel Records/Audioglobe
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Moloch - chitarra
- Dirk Heiland - voce
- Christian Grigat - batteria
- M. Thäle - chitarra
- Ronald Shulze - basso


Tracklist: 

1. Born In Blasphemy
2. Assassination
3. Don’t Sacrifice My Soul
4. Storming In My Mind
5. Evil Dead
6. Beyond The Bridge Of Death
7. Damned Will Be Thy Name
8. And The Evil Walks Your Way
9. In Black Years Of Pain
10. Dark Pounding Steel

Fatal Embrace

Dark Pounding Steel

Sebbene non abbiano mai raggiunto il successo internazionale, i tedeschi Fatal Embrace sono sulla scena Extreme Metal fin dal 1993; in più di dieci anni di carriera, questa metal band ha sostenuto un’intensa attività live partecipando a numerosi festival in terra germanica e suonando assieme alle più grandi leggende del thrash teutonico come Sodom e Destruction.
Dark Pounding Steel costituisce il terzo full-lenght di questa band, che fornisce un’ottima prova delle proprie qualità sia in quanto ad esecuzione sia per quanto riguarda il songwriting, confezionando un’opera potente, precisa e rabbiosa. I Fatal Embrace propongono infatti un death/thrash old school ispirato ai primi Slayer, a cui si associano anche per quanto riguarda l’immagine pseudo-satanista non troppo convinta, e ai già citati conterranei Sodom e Destruction, sebbene in alcuni momenti i nostri rivelino un sound meno grezzo e più ricercato rispetto al thrash metal più classico.

La grande potenza di questo gruppo si avverte già dalla devastante opener Born In Blasphemy, veloce e pesante cavalcata thrash su cui si attesta una voce molto ispirata che passa da toni grezzi e rauchi ad uno screaming spaccatimpani. Struttura simile per la successiva Assassination, caratterizzata da un refrain malvagio che rende la song ancora più riuscita e coinvolgente; su tutto questo si staglia un assolo ultraveloce che, anche se non troppo ispirato, si amalgama bene con il sound della band. Con Don’t Sacrifice My Soul ci si concede qualche minuto di respiro, grazie a ritmi più lenti e ossessivi, arpeggi inquietanti e riff squadrati che creano un’atmosfera oscura e decadente; la breve e velocissima Storming In My Mind riprende invece la furia degli esordi del disco, con un drumming incessante unito a chitarre super accelerate e a una voce che ruggisce rabbiosa.
La quinta song è invece una cover, per la precisione Evil Dead, tratta dal disco d’esordio di una delle più grandi leggende del death metal floridiano, i Death. Sebbene l’esecuzione non sia troppo originale e non si raggiunga a pieno la potenza dell’originale (soprattutto per quanto riguarda il drumming), il pezzo è suonato bene e con grande ispirazione.
Beyond The Bridge Of Death è un altro brano veloce e rabbioso, impreziosito da un ottimo assolo al fulmicotone e dagli acuti strazianti del singer Dirk Heiland. Ottima anche la seguente Damned Will Be Thy Name, che dopo una parte introduttiva di gusto baroccheggiante esplode in una sfuriata death veramente distruttiva, sicuramente il pezzo più pesante del platter.
And The Evil Walks Your Way è invece un brano più cadenzato, che a tratti scade nel banale ma convince comunque abbastanza e costituisce una pausa prima del ritorno a ritmi forsennati con la seguente In Black Years Of Pain, dove parti ultraveloci con una doppia cassa che non concede tregua sono alternate a momenti più lenti ma comunque molto pesanti.
Fin qui tutto bene, ottimo thrash/death suonato con passione, ma il meglio deve ancora venire con la conclusiva e molto riuscita title track Dark Pounding Steel, che chiude il disco in modo più che dignitoso. Si comincia con un arpeggio dal sapore oscuro che rimanda agli echi barocchi di The New Order dei Testament, seguito da un drumming marziale che introduce le chitarre distorte ed ossessive che inducono all’headbanging più sfrenato. Dopo un urlo di Heifeld, che paga un forte debito ad Angel Of Death degli Slayer, il ritmo aumenta e riff ultraveloci si susseguono uno dopo l’altro per poi sfociare in ritornello davvero coinvolgente e concludersi infine con un arpeggio malvagio.

In conclusione, un lavoro suonato bene e molto ispirato, che di certo non aggiunge nulla di nuovo alla scena e risente moltissimo delle influenze delle grandi leggende del genere, i cui temi sono però ben amalgamati in modo da formare un ensemble coinvolgente e per nulla ripetitivo o noioso.

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