Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Paolo Gregori
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Rob Dukes - voce
- Lee Altus - chitarra
- Gary Holt - chitarra
- Tom Hunting - batteria
- Jack Gibson - basso


Tracklist: 

1. A Call To Arms
2. Riot Act
3. Funeral Hymn
4. Children Of A Worthless God
5. As It Was, As It Soon Shall Be
6. The Atrocity Exhibition
7. Iconoclasm
8. The Garden Of Bleeding
9. Bedlam 1-2-3

Exodus

The Atrocity Exhibition... Exhibit A

Gli Exodus, una band troppo spesso trascurata nel panorama della Bay Area, erano riusciti nel 2004 a fare quello che nessuno dei cosiddetti “Big Four” del Thrash americano aveva mai realizzato. Il quintetto di San Francisco era stato in grado infatti, con Tempo of the Damned, di creare un album che sposasse il Thrash degli anni ottanta con sonorità moderne e groove-oriented, senza scadere nella ripetitività. La band ritenta l'impresa l'anno dopo, con un line-up quasi completamente rimaneggiato, con Shovel Headed Kill Machine, questa volta purtroppo fallendo miseramente: il nuovo vocalist, Rob Dukes, con la sua voce decisamente poco coinvolgente fa rimpiangere il cantato graffiante ed irriverente di Steve Souza; Lee Altus non è sicuramente più ispirato, e sembra tenere da parte i suoi riff migliori per gli Heathen, dedicando agli Exodus una prestazione mediocre e poco ispirata. The Atrocity Exhibition... Exhibit A conferma la terribile monotonia e banalità del disco precedente, raggiungendo livelli di ripetitività esasperanti.

L'unico miglioramento che si può riscontrare dall'ascolto del platter consiste nella performance vocale di Dukes, leggermente più emozionante rispetto all'album previo. Lo stesso non si più dire nè della sezione ritmica, che certo non brilla per dinamismo, nè del lavoro svolto dai due axemen, che fa della ripetitività il suo cavallo di battaglia. Molti amanti del Groove/Thrash potrebbero giustamente argomentare che quelli sopracitati non sono da considerarsi difetti, dal momento che tale genere non richiede certo ritimiche articolate o riff e assoli particolarmente elaborati. Tale contestazione avrebbe senso se The Atrocity Exhibition... Exhibit A fosse costituito da tracce di lunghezza canonica per un album Groove, ovvero comprese all'incirca tra i tre e i cinque minuti. Gli Exodus invece si sono voluti cimentare, per ragioni che vanno oltre l'umana comprensione, in un disco da poco meno di un'ora di tempo di riproduzione: nove tracce (escludendo la breve intro strumentale) di snervante monotonia.

La noia, spesso sfociante in irritazione, che l'ascolto del disco produrrà nell'ascoltatore non è immediata: all'intro strumentale succede infatti Riot Act, la traccia più corta dell'album, che con i suoi 3:37 minuti di durata, si presenta semplicemente come una traccia mediocre, ma non particolarmente indisponente. Si rivela anzi essere uno degli episodi migliori del lotto: i riff non sono nulla di originale o esaltante ma quantomeno, data la scarsa durata della canzone, non sono ripetuti allo sfinimento, come invece accadrà nel resto dell'album. Tracce come Funeral Hymn, Iconoclasm, As It Was, As It Soon Shall Be mettono infatti a dura prova i nervi dell'ascoltatore con riffs quasi indistinguibili l'uno dall'altro per la loro banalità e assoli privi di quell'energia che aveva rappresentato una caratteristica fondamentale dei primi lavori della band.L'album si risolleva un poco con Children of a Worthless God, traccia che con i suoi cori tetri e il suo riffing decisamente più accurato rispetto al resto dell'album, rappresenta un inaspettato picco di originalità, ricordando a tratti le atmosfere di Tempo of the Damned. Si tratta purtroppo di un episodio isolato, che certamente non basta a riscattare l'album ma, anzi, dimostra come alla band non manchino le capacità, ma semplicemente le idee.

Non si può dire che The Atrocity Exhibition... Exhibit A rappresenti una delusione, ma piuttosto si configura come riconferma della strada in discesa che hanno imboccato gli Exodus. Una strada colma di insipidezza, mancanza di idee e banalità, difetti accentuati dalla folle pretesa di produrre tracce di lunghezza esagerata. Un'altra band quindi che, dopo aver lasciato ben sperare per il futuro del Thrash moderno con Tempo of the Damned, è scaduta nella mediocrità. L'acquisto di questo album, insomma, è consigliato solo ai fanatici collezionisti, in quanto l'unica reazione che può provocare nell'ascoltatore è il rimpianto delle glorie passate.

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