Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Rob Dukes – Vocals
- Gary Holt – Guitars
- Lee Altus - Guitars
- Jack Gibson – Bass
- Tom Hunting – Drums  

 

Tracklist: 



1. The Ballad Of Leonard And Charles 07:14
2. Beyond The Pale 07:40
3. Hammer And Life 03:31
4. Class Dismissed (A Hate Primer) 07:14
5. Downfall 06:21
6. March Of The Sycophants 06:45
7. Nanking 07:22
8. Burn, Hollywood, Burn 04:05  
9. Democide 06:36
10. The Sun Is My Destroyer 09:32
11. A Perpetual State Of Indifference 02:24 
12. Good Riddance 05:30

Exodus

Exhibit B: The Human Condition

Decimo studio album in casa Exodus con questo Exhibit B: The Human Condition e sorpresona annessa poiché questo nuovo parto di una delle band più importanti del thrash ha qualcosa in più. Se le precedenti releases, pur assestandosi su livelli discreti, avevano gettato più groove sul sound dei nostri, attingendo a piene mani dal periodo meno impulsivo della band stessa (gli anni 90), con questo nuovo album possiamo notare un indurimento ed una velocizzazione del loro sound. Sicuramente dopo la pessima trovata commerciale di Let There Be Blood, ovvero la ri-registrazione dello storico, intoccabile Bonded by Blood, i nostri californiani dovevano salvare la faccia e recuperare molti fan che rimasero delusi da codesta scelta. In più Rob Dukes, subentrato dietro al microfono nel 2005, non è mai stato visto di buon occhio da molti, poiché il suo stile non si addiceva per nulla all’inconfondibile sound degli Exodus. Insomma, una serie di eventi stava portando la band verso il baratro, anche se essi non se lo meritavano e per quanto riguarda il nuovo vocalist, beh, voglio vedere chi non si sentirebbe sotto pressione e criticato a prendere il posto di due mostri sacri come Paul Balff e Steve Souza.

Ad ogni modo,  parlando di Exhibit B: The Human Condition, tutti gli elementi caratterizzanti i veri Exodus sono presenti: chitarre graffianti, up tempo precisi, assoli lancinanti e la voce di Rob che ha fatto passi da giganti. Il suo timbro acido, graffiante e deciso dona un qualcosa in più ad un album lungo sì, ma con pochi riempitivi e poche cadute di tono, comunque inevitabili in un’ora ed un quarto di musica. The Ballad Of Leonard And Charles ricopre il ruolo di opener con arpeggi a sfociare in un crescendo selvaggio ed oscuro di intensità. Gli up tempo entrano prepotentemente e la registrazione ottima a cura di un certo Andy Sneap dona profondità al groove delle chitarre. Un intrecciarsi brutale di riffs, cambi di tempo e linee vocali impazzite riescono a far spacciare una canzone di quasi otto minuti per una di poco più di quattro e così sarà per la gran parte dei pezzi poiché l’ispirazione viaggia quasi sempre livelli alti. Certo, non stiamo parlando di capolavori (di Bonded by Blood ce n’è uno solo), ma nel loro modo di fare thrash moderno (ricordiamo sempre che lo stile richiama sovente Tempo of the Damned per suoni e riffs) gli Exodus colpiscono nel segno.

Sempre buoni i momenti rallentati alternati a feroci, ma dal retrogusto melodico, momenti in up tempo di Beyond the Pale come anche il groove di un’incalzante e dal facile ritornello Hammer and Life, votata a ricercare uno stile molto 90s. A mio parere la prova migliore di Rob su questo disco si può trovare in occasione del pesantissimo ritornello di Class Dismissed (A Hate Primer), traccia violenta, oscura e sfacciata. Il groove viene sempre ottimamente mischiato alla ferocia del classico thrash grazie a sfuriate di doppia cassa ed alcuni up tempo in occasione dell’entrata solista delle chitarre. Ancora una volta, ottime le linee soliste su una violenta Downfall al fine di gettare sempre un tocco di “accessibile” quando ce n’è bisogno. La prevalenza di groove nella prima parte di una buona e facilmente memorizzabile March Of The Sycophants viene opposta alle ripartenze al fulmicotone nella seconda per rendere completa una canzone sempre lunga ma con pochi momenti morti. Gli Exodus riescono quasi sempre a trovare quell’idea o a posizionare anche solo un cambio di tempo quando serve, evitando al limite le ripetizioni e ciò è da lodare, facendo vedere dove l’esperienza di questa band si possa spingere.

Ma proprio quando sei pronto a lodare la band per le sue composizioni ecco che casca l’asino. Nanking si palesa all’ascoltatore e la noia prende il dominio. Gli unici momenti degni di nota si possono trovare in occasione delle sezioni arpeggiate poiché il resto è un groove dalla scontatezza mostruosa. Ci pensa la violenta Burn, Hollywood, Burn a riportare il disco su buoni binari anche se la formula comincia ad essere leggermente abusata, complice la durata che ormai il prodotto ha raggiunto. Inutile, dal ritornello pacchiano Democide, sarebbe dovuta rimanere fuori dall’album mentre la buona The Sun Is My Destroyer si presenta come traccia più dinamica e tagliente nonostante una durata che scoraggerebbe il suo ascolto, soprattutto se posizionata in terzultima posizione. Linee soliste ed arpeggi di A Perpetual State Of Indifference introducono la finale Good Riddance, mazzata a voler ribadire che gli Exodus sanno ancora suona del buon thrash. Certo, il disco si sarebbe potuto apprezzare maggiormente se lungo la metà ma ad ogni modo non possiamo lamentarci poiché loro sono tra i pochi a reggere l’urto delle nuove leve e delle nuove contaminazioni musicali, camminando a testa alta. Un bentornato a voi.   

 

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