Voto: 
7.6 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Jonas Ekdahl - batteria
- Tom S. Englund - chitarra, voce
- Henrik Danhage - chitarra
- Rikard Zander - tastiera
- Michael Håkansson - basso


Tracklist: 

1. Monday Morning Apocalypse (03:11)
2. Unspeakable (03:55)
3. Lost (03:14)
4. Obedience (04:14)
5. The Curtain Fall (03:09)
6. In Remembrance (03:34)
7. At Loss For Words (04:14)
8. Till Dagmar (01:40)
9. Still In The Water (05:18)
10. The Dark I Walk You Through (04:20)
11. I Should (04:52)
12. Closure (03:09)

Evergrey

Monday Morning Apocalypse

Gli Evergrey avevano abituato i fans del Progressive ad un sound oscuro ed avvolgente, potente ma immerso in quella malinconia trasmessa già dall’artwork di ciascun disco. Nel caso del sesto album di studio, tale Monday Morning Apocalypse, non si può parlare allo stesso modo, almeno nel caso della copertina, inusuale per lo stile Evergrey e che, essendo parecchio curiosa, potrebbe non essere apprezzata dai cultori della band.
Tuttavia, ciò che importa è la musica all’interno del full-lenght e gli Evergrey con l’opera del 2006, che giunge a distanza di due anni da quell’interessante The Inner Circle, dimostrano di avere idee sempre competitive, legate in questo caso ad un approccio più diretto di ogni traccia.
Il titolo dell’album e l’artwork ad esso connesso si riferiscono alle liriche stese dal cantante Tom Englund, in cui si tratta dell’imponderabilità della vita umana, vista come un enigma dominato dal caso: anche gli stessi Evergrey potrebbero ritrovarsi detenuti in una prigione americana pur essendo svedesi, ed è questo il messaggio contenuto nella copertina umoristica.

Passando all’analisi del disco, si nota come le dodici tracce proposte dal quintetto scandinavo siano di gran lunga mediamente più brevi rispetto a quelle dei lavori passati, in modo da porre in rilievo l’aspetto diretto del sound potente e melodico allo stesso tempo esibito dagli Evergrey.
La title-track Monday Morning Apocalypse evidenzia da subito l’ottima produzione del disco, affidata all’esperto Stefan Glaumann (collaboratore di Rammstein, Def Leppard e Bon Jovi): le chitarre distorte tessono l’architettura sonora in modo aggressivo, descrivendo riff Metal precisi e ritmati, su cui si inseriscono le tastiere di Rikard Zender che conferiscono il tono oscuro e triste tipico del gruppo di Goteborg.
Il timbro è rimasto pressoché immutato, ma le finalità per cui ogni brano è stato coniato sono presto svelate, senza condire con parti inutili ed esprimendo il massimo delle proprie potenzialità; in Unspeakable ritroviamo tutte le caratteristiche del Progressive già interpretato nei precedenti album: accompagnamenti mozzafiato di batteria, chitarre onnipresenti e alquanto elaborate nei giochi clean-distorto, voce espressiva e sicura, tenebrose tastiere che a volte si fanno sostituire da un’elettronica campionata di notevole fattura.
Lost appare densa nell’atmosfera costruita dalle chitarre clean e dai cori, che rendono unico il genere presentato dagli Evergrey, non paragonabile a qualsiasi altra band del panorama Progressive mondiale; come testimonia Obedience infatti i riff sono vari e la voce appare costantemente determinata nella sua direzione, a supporto delle chitarre spesso virtuose e delle tastiere a tratti sinfoniche.
Alcuni passaggi risultano abbastanza scontati, come The Curtain Fall o come l’insipida In Remembrance, subito smentite dalla coinvolgente At Loss for Words e dalla struggente Till Dagmar, commovente intervallo di pianoforte che introduce Still in the Water. E’ questo il pezzo migliore di tutto Monday Morning Apocalypse, che è parecchio connesso al sound Ark e che potrà manifestarsi in tutta la sua carica in sede live, con la voce femminile ad affiancarsi a quella di Englund.

Concludendo, ottima risposta da parte del quintetto svedese della scuderia Inside Out, che continua la linea compositiva avviata dal lontano 1998 con la pubblicazione di The Dark Discovery. Non un capolavoro del Progressive ma un bell’album che potrà porsi in una posizione rilevante tra tutte le uscite del 2006: non c’è stata un’innovazione evidente e profonda, ma gli Evergrey sanno ancora mostrarsi cattivi e mesti nel loro connubio di Progressive e Heavy, tanto copiato da altre formazioni ma mai emulato alla perfezione.

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