Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Davide Merli
Genere: 
Etichetta: 
Epic
Anno: 
1988
Line-Up: 

- Joey Tempest - Voce
- Kee Marcello - Chitarra
- Ian Haugland - Batteria
- Mic Michaeli - Tastiera, Hammond
- John Levèn - Basso

Tracklist: 

1. Superstitious
2. Let the good times rock
3. Open your heart
4. More than meets the eye
5. Coast to coast
6. Ready or not
7. Signs of the times
8. Just the beginning
9. Never say die
10. Lights and swadows
11. Tower’s callin’
12. Tomorrow
 

Europe

Out of This World

Gli Europe, dopo il successo mondiale di The Final Countdown, sono chiamati all'impresa impossibile di pareggiare con questo album tale successo ottenuto. L’impresa fu impossibile in partenza perché il disco precedente aveva dato una notorietà ai cinque svedesi anche al di fuori dell’ambito Rock/Metal (i cinque persino parteciparono come special guest a Sanremo) e quindi di sicuro una parte di fans sarebbe rimasta delusa almeno in parte da questo Out Of this World.
Gli Europe quindi hanno fatto una scelta: o tornare alle loro sonorità AOR/Hard rock oppure lanciarsi verso il pop commerciale e sfruttare l’autostrada che The Final Countdown aveva aperto. Per fortuna i nostri hanno scelto la prima ipotesi. Out Of This World è un disco che di sicuro pareggia la qualità del predecessore: anzi, se non ci si sofferma sull fatto che venderà molto meno del precedente per le ovvie ragioni citate prima, è da considerarsi il vero capolavoro della band.
In questo album si assiste al debutto dietro alla chitarra di Kee Mercello, chiamato al difficile compito di sostituire l’amatissimo e bravissimo John Norum.
Kee Marcello fa un lavoro stratosferico in questo disco dove mette subito in risalto la sua tecnica veloce pulitissima e molto melodica rispetto a quella più dura e sporca di Norum.
Questo disco suona Europe al cento per cento, come se sul gruppo non avesse influito minimamente l’ondata di successo riscossa in quegli anni e questo è forse il punto di forza più importante di tale opera: nulla è cambiato, la loro musica rimane come sempre melodica, diretta e dal sapore AOR che li contraddistingue fin dagli esordi. Il suono risulta sì ancora più pulito e dolce rispetto alle produzioni vecchie ma questo probabilmente è anche dovuto all’aumento di budget notevolissimo che si sono visti concedere dopo The Final Countdown.
Il personaggio indiscusso che ha in meno le redini del gruppo è senza dubbio il superbo Joey Tempest, dotato di una delle più belle voci di tutto l’AOR.

Il disco si apre con Superstitious, canzone che riscosse eccezionali responsi per la sua immediatezza, per il suo ritornello molto catchy e per un'intro a-cappella alla Queen. Per questa canzone ci sono due chiavi di lettura o di ascolto, come preferite: la si può ascoltare concentrandosi sulla voce di Tempest che trascina il pezzo nei suoi quattro minuti e mezzo oppure si può analizzare il lavoro degli strumenti musicali, accorgendosi di tanti piccoli particolari che rendono il pezzo formidabile e mai ripetitivo e banale. A dir poco mozzafiato l’assolo di Marcello che mette subito le cose in chiaro alle persone che avevano storto il naso per il cambio di chitarrista. Singolo che batte sotto tutti i punti l’acclamatissimo The Final Countdown.
Molto più Hard Rock oriented è Let the Good Times Rock, canzone nella quale è la voce di Tempest che regge il pezzo. Ottimi i riff e le parti soliste di chitarra e la parte di tastiera e la canzone appare molto brillante e ben strutturata.
Come terza traccia i nostri ci presentano una nuova versione più dura di Open your Heart, canzone proveniente dal disco Wings Of Tomorrow, risalente al 1984. La canzone viene resa perfetta dall’aggiunta quel pizzico di Hard Rock che le mancava. Essa inizia lenta come la versione originale ma dal ritornello in poi diventa una canzone molto più dura della versione classica, pur mantenendo intatto il suo tono melodico.
More Than Meets The Eye è la classica canzone AOR che cresce di ascolto in ascolto man mano che si notano i particolari meno evidenti che accompagnano la sezione ritmica. Come in tutto l’album anche qui abbiamo un Kee Marcello straordinario dietro la sei corde e un'ottima voce di Tempest, a dir poco inimitabile.
Un intro di Hammond precede la ballata Coast to Coast dove è Tempest a mettere in risalto la sua voce sempre ottima e i soliti Marcello di Michaeli che creano un'atmosfera originale. Il ritornello è un po’ scontato ma la canzone costituisce davvero una buona ballata.

Una delle canzoni più Hard Rock del disco è senza dubbio la successiva Ready Or Not, canzone che richiama più lo stile di alcune canzoni dei precedenti dischi e quindi anche le parti di chitarra sono più distorte che melodiche come erano quando dietro alla chitarra c’era l’amatissimo Norum. Marcello comunque riesce benissimo a rimpiazzarlo anche in queste canzoni più hard rock e ci mette comunque il suo marchio di fabbrica nell’assolo.
La settima traccia del disco è senza dubbio una delle canzoni più belle degli Europe in assoluto: Sign of the Times è dotata di un'atmosfera spettacolare dove Tempest più mostrare in pieno le sue doti vocali. La parte che va dal secondo ritornello fino alla conclusione è forse uno dei momenti di punta di tutto AOR in generale, dove Marcello ci regala un assolo a dir poco perfetto che ricalca la parte vocale di Tempest e i suoni della tastiera creano effetti da brividi.
In Just The Beginning è la tastiera lo strumento che più si mette in mostra senza tralasciare il solito Tempest che, con un cantato a tratti aggressivo e grintoso, non fa altro che aggiungere note positive al pezzo. Molto in stile Hard Rock/Heavy dei Guitar Heroes l’assolo di Marcello veloce, tecnico e, come sempre, pulitissimo.
Il successivo è forse uno dei pezzi più deboli del disco in quanto si tratta di un normale capitolo AOR sì di alto livello ma, visti gli standard altissimi di questo album, passa un po’ in ombra rispetto ad altri brani. Never Say Die è dotata comunque di una ritmica trascinante e di suoni di hammond davvero azzeccati. Tra i pezzi migliori del disco figura certamente anche Lights And Shadows, canzone AOR con un ritmo lento e cadenzato che cresce di minuto in minuto e diventa sempre più aggressivo e coinvolgente. Bellissimo l’assolo tastiera/chitarra di Marcello e Michaeli che si collega al ritornello cantato in maniera spettacolare da Tempest. Tower’s Callin’ ha un riff Hard Rock roccioso e dei suoni elettronici come tutto il disco in generale. Interessante il lavoro di tutta la band che non cade mai nel comporre episodi banali e questo è merito di un song-writing quasi maniacale sotto il punto di vista degli effetti, sempre vari e ottimamente curati.
Tomorrow, ballata forse un po’ troppo sdolcinata, chiude il disco. Questa canzone è più un faccia a faccia del solo Tempest con il pubblico: infatti è accompagnato dal solo pianoforte e da una sezione ritmica molto semplice di batteria. La cosa bella della canzone è che non ha un ritornello scontato e la voce di Tempest nel finale fa davvero venire i brividi. Ballata che batte ai punti Carrie, almeno dal punto di vista dei fans dell’Hard Rock/AOR e non quello degli amanti del Pop.

Questo senza dubbio è l’album più maturo degli Europe e molto probabilmente il migliore sotto il punto di vista sia compositivo che emozionale. Molto probabilmente è inconcepibile ritenere questo disco superiore a The Final Countdown, ma se lo si guarda con un occhio distante dal successo commerciale che quest’ultimo ha avuto, l’affermazione non guasta affatto anche perché, dal punto di vista compositivo, i pezzi sono molto più complessi e meno banali rispetto al precedente, senza affatto sminuire il valore di quel disco. Non si tratta infatti di svalorizzare The Final Countdown, ma si tratta invece di dare il giusto valore a quest’album che non ha riscosso il successo planetario del suo predecessore giusto perché non contiene una hit mondiale del calibro della title-track.
Il disco migliore di una band che ha fatto la storia dell’ AOR/Hard Rock.
 

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