Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Stefano Pentassuglia
Genere: 
Etichetta: 
Level Plane/Rock Action
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Dairoku Seki - drums
- Tetsuya Fukagawa - sequencer, vocals
- Nobukata Kawai - guitar
- Masahiro Tobita - guitar
- Manabu Nakagawa - bass guitar
- Daichi Takasugi - guitar
- Takashi Kitaguchi - engineering
- Tatsuya Kase - mastering

Tracklist: 

1. Chain Wandering Deeply – 8:28
2. Distress of Ignorance – 5:54
3. Evidence – 3:16
4. Color of Fetters – 7:19
5. Unrepairable Gentleness – 8:10
6. Go Mad and Mark – 6:35
7. A Conviction that Speeds – 5:27
8. Reasons and Oblivion – 5:05
9. A Will Remains in the Ashes – 12:44

Envy

A Dead Sinking Story

"The sound of words so quiet and mellow.
A dead sinking story we can't take back.
"

Esiste una linea che separa la concezione dell'arte dalla superficie dell'anima umana, e questa linea è sottile, molto sottile. Talmente sottile che la prima spesso può sfondarla e toccare la seconda. Occorre scomodare la sindrome di Stendhal e il sublime kantiano per descrivere quello che un disco può evocare nell'ascoltatore? Fortunatamente no, quindi ricorrerò a parole più semplici per esternare ciò che ho provato ascoltando gli Envy, e quest'album in particolare.
Quello che al sottoscritto preme sottolineare è il concetto di coinvolgimento emotivo. A chi non è mai capitato di commuoversi davanti un film fino a sentire i propri occhi luccicare? A chi non è mai capitato di sentire nel profondo del proprio cuore che la canzone che si sta ascoltando in quel preciso momento è diventata un tutt'uno con il cuore stesso? Eppure noi possiamo vedere un film al cinema mangiucchiando pop corn e possiamo ascoltare una band dal vivo, come anche un bel CD, comodamente seduti in un locale a bere birra con gli amici. Quando, allora, il coinvolgimento emotivo diventa così forte che non riusciamo a considerare la creazione artistica come qualcosa di esterno da assimilare distaccati? Quando la sentiamo divenire parte di noi, quasi come se fosse una traduzione nel concreto (musica, immagini) di quelle emozioni non-concrete e indefinibili che proviamo e che sentiamo il bisogno di esternare? Bene, succede quando quella sottile linea di cui parlavo prima viene spezzata. E mai ciò mi è stato reso in maniera più lucida di quando si ascolta A Dead Sinking Story dei giapponesi Envy.

Come volete chiamarlo? Screamo? Emo-violence? Hardcore? Post-Hardcore? Post-Rock?  Questa è musica emotiva nella sua concezione più pura, e non esistono aggettivi né parole al mondo in grado di descrivere le emozioni a un essere umano che non le ha mai provate. Ma una recensione è costruita da parole e descrizioni, e sarò costretto a usarle se voglio tentare di esternare a chi legge quello che ho provato durante l'ascolto.

Partiamo dal principio: la prima canzone dell'album, Chain Wandering Deeply. Inizialmente sembra di ascoltare una arpeggio di chitarra che cerca di creare un'atmosfera decadente, mentre un rumore di sottofondo si innalza sempre di più come fosse una nube nera che oscura pian piano un cielo cristallino in una notte d'inverno. Ma da questa nube, a un certo punto, parte un fulmine: il bagliore del lampo, il rumore del tuono, la terra che trema, tutto è sconvolto dall'arrivo di qualcosa che turba la pace che si era creata. Ecco, questo è quello che succede dopo i primi secondi di canzone. Appena si avverte la voce di Fukagawa e le chitarre del duo Kawai/Tobita che intonano la prima nota, già tutto è chiaro, lucido, inevitabile.

Il disco è diventato parte di te. Non puoi scappare, non c'è via di fuga dalle proprie emozioni. Rimanere insensibili sarebbe come negare sé stessi. La canzone è iniziata solo alcuni secondi e già si avverte un brivido freddo che parte dalle orecchie e arriva al cuore. "Atemo naku samayou kotoni tsukare / motome iku jijitsu dakare ushinai"... Non importa quanto sia ostica ed incomprensibile la lingua giapponese, i versi di Fukagawa (di cui è comunque presente la traduzione in inglese nel booklet del CD) diventano un tutt'uno con noi, raschiano la superficie dell'anima, mentre un riff di chitarra si ripete attorcigliandosi su sé stesso, costruendosi avvolto nell'emozione, sembra di vedere la band che si accascia per terra e noi insieme a loro, sanguinanti come se fossimo stati colpiti da un proiettile al cuore scagliato dal cielo per renderci vulnerabili e coscienti della nostra natura umana. Si tratta di un riff spiazzante, mai chitarre e voce sono state così abrasive e invadenti nel farsi largo nell'inconscio dell'ascoltatore, irrompendo con violenza e distruggendo ogni distacco e preservazione di sé che ci si era costruiti di fronte all'opera d'arte.

Se un disco in grado di far provare tali emozioni non è un capolavoro, allora cosa lo è? La canzone va avanti e le chitarre rallentano, la voce si rilassa e disegna scenari di pura decadenza post-rock, ma poi il riff si ripete, ancora più pericoloso e distruttivo, un urlo straziante scagliato al nostro petto che coinvolge cuore, mente e anima, rendendo tangibile la disperazione in un' urlo che si staglia al cielo senza nessuno ad accoglierlo. E il riff a un certo punto si spezza, acquista colore hardcore, prima di ributtarsi in un nuovo oceano di note che si accavallano su sentimenti contrastanti, come se volessero urlare la confusione a cui sono costretti dalla vita, che non rende mai le cose semplici e non ci fa mai capire cosa proviamo davvero. Tutto è lucido, si tocca con mano l'emozione, la musica è solo uno strumento che serve a tradurre un sentimento in qualcosa di concreto, esternabile. Prima il riff di chitarra sembra infondere speranza e le tonalità maggiori si alzano sempre più, sembra quasi ci sia una dolcezza di fondo in mezzo alla violenza sonica, ma poi ci si accascia su tonalità minori e sembra come se tutta quella speranza costruita prima fosse stata spezzata da un colpo di vento, dalla prima grande difficoltà; ci ritroviamo nuovamente di fronte al dolore, alla disperazione più cupa, in un tornado viscerale che coinvolge ogni parte del nostro corpo.

Sembra di assistere a un film, ad un affresco di emozioni, come un padre che gioca nel parco con la sua bambina e avverte di essere davvero felice, di aver trovato il senso della vita, finché le risate non sono rotte dallo sparo di un colpo di pistola, e irrompe il silenzio di un viso insanguinato e del corpo della bambina che si accascia sulle braccia del padre paralizzato dal dolore che ha colpito improvvisamente. Come una freccia assassina che distrugge e fa avvertire la vulnerabilità di una gioia che credevamo essere concreta. Spero di non aver creato un'immagine troppo fuori luogo, ma non ho trovato paragone migliore per descrivere ciò che questa musica può far provare, se chi l'ascolta è disposto a donarsi completamente ad essa. Tutto è estremo, tutto è portato all'eccesso, tutto è rosso sangue. Si avverte quella passionalità giapponese che ritroviamo nei manga, negli anime, nel cinema asiatico e in tutte quelle opere dove l'esagerazione della passione è il perno su cui si muove la creazione artistica, veicolata con violenza hardcore nella nostra anima come un fiume in piena che si tuffa nell'oceano.

L'atmosfera post-rock creata sulla chiusura di Chain Wandering Deeply si evolve in Distress Of Ignorance, continuando sull'alternanza dei sentimenti, attraverso note che evocano malinconia come anche dolcezza, sensazioni di smarrimento ma con qualcuno che ci indica la via. La brutalità emotiva riesplode in Color Of Fetters: Fukagawa urla una parola per ogni accordo di chitarra, e così il riff si eleva e si avvolge in una spirale distruttiva, un tornado di emozioni che trascinano a forza mente e cuore prima di svilupparsi in qualcosa di più, in un'atmosfera penetrante che sembra incontrollabile. Tutto è talmente veloce che non si fa nemmeno in tempo a capire quali emozioni si provano all'ascolto: è ovvio che la mia descrizione è stata fatta con il senno di poi. I riff suonati a inizio canzone vengono recuperati ma presentati in una nuova veste, con una consapevolezza del proprio potere viscerale.
E così si trasformano in un arpeggio delicato che ci chiude gli occhi e ci invita a sognare. Tutto prima che lo screamo selvaggio di Unreparaible Gentleness faccia la sua comparsa maciullando i nostri sensi già affaticati e cantando dolore e confusione. Ma poi ecco che uno spiraglio di luce compare all'orizzonte e avvolge i sensi con morbidezza. Il dolore quindi cede il passo alla speranza, o almeno ad una poetica malinconia, che si esprime nelle atmosfere di Go Mad and Mark e soprattutto negli arpeggi di Reasons And Oblivion. Ed è proprio con quest'ultima canzone che ci si accorge di come lo screamo sia un genere capace di esternare le emozioni meglio di tanti altri, per come le note diventano tangibili di fragilità umana, una simbiosi mistica tra l'opera ed il creatore/fruitore, tra cioè che appare fuori e ciò che sentiamo dentro, disegnando un'eterna equazione dolore = poesia.

Anche il finale A Will Remains in the Ashes sembra voler continuare il percorso di malinconia già avviato, ma poi ci si accorge che non è nulla di così banale. I riff che chiudono il disco sono come ventate di freschezza, come due mani che spalancano le imposte della finestra e fanno entrare il sole nella stanza. Raccolgono i vetri distrutti dal tornado delle prime canzoni, e con tanta speranza dentro di sé ricompongono il quadro, chiudono il cerchio. Tutte le cose hanno una fine, e anche questo viaggio è terminato.

Tanti dischi, fin troppi, hanno generato in me sentimenti contrastanti ed emozioni distruttive, coinvolgendomi da capo a piedi. Però bisogna chiarirlo: un coinvolgimento emotivo così violento come quello che genera A Dead Sinking Story è qualcosa di raro nel mondo della musica, e per questo una perla del genere va preservata e fatta conoscere il più possibile in giro (chi ha detto "Italia"?). Persino la voce, che a prima vista mi era sembrata noiosa e monotona, sempre urlata e con lo stesso timbro, diventa fondamentale a livello concettuale, accompagnando i riff di chitarra per dare una forma tangibile alla straziante disperazione che sono capaci di provocare. Un disco cupo e doloroso, che spezza la distanza tra noi e ciò che ascoltiamo, rendendoci una cosa sola, come se fosse entrato a far parte della nostra anima in modo permanente. Una maestria insuperabile e tutta giapponese nel giocare con l'emotività umana in modo dilaniante e destabilizzante. 

Siate coraggiosi e spezzate anche voi questa linea. Un disco in più per rendersi conto (ma davvero) di come siano sorprendentemente simili due concetti come musica ed emozione. Pura contemplazione e simbiosi mistica.

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