Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Autoproduzione
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Venus - guitar, vocals on tracks 1, 4, 6
- Cassandra - guitar
- Samantha - keyboards, vocals on tracks 2, 5
- Lorelei - bass
- 5 - drums, percussions, keyboards, programming

Tracklist: 


1. You Can Dance in Mist
2. Take My Heart to the Oblivion
3. Away
4. Fairy Tale
5. Surgery

Egodrama

Promo 2010

Gli Egodrama (da non confondere con la band electro-goth di Rimini) sono un giovane progetto abruzzese con radici musicali nella dark-wave britannica e nell'elettronica cupa; il nome però viene da un brano dei Dark Tranquillity di metà carriera.
Dopo qualche concertino come gavetta, il gruppo registra rapidamente un demo promozionale che mette fortemente in risalto le loro influenze gotiche, in particolar modo dai Sisters of Mercy (per il suono oscuro ma "duro"), dai Joy Division (per il pessimismo e l'aura esistenzialista che permeano i brani), dai Clan of Xymox (molte soluzioni di tastiera e sintetizzatore) ed in parte da Siouxsie (le linee vocali della tastierista e seconda cantante Samantha) e Black Sabbath (per qualche riff più granitico e cadenzato).
Inoltre i membri del gruppo si presentano con nomi mitologici come pseudonimi, citando Aegis dei Theatre of Tragedy, ad eccezione del batterista "5" a sottolineare in una maniera disumanizzata che si tratta del quinto membro. Curiosamente, tranne la già citata tastierista, anche se i nomi sono femminili si tratta tutti di maschi.

Tutto sommato non si tratta di un banale riciclo dei soliti cliché goticoni, anzi è palpabile con mano una certa solidità di fondo iniettata nel songwriting per cercare di personalizzare la proposta, sempre in bilico fra un dark malinconico e depressivo, escursioni più oniriche che rievocano l'idea di un viaggio contemplativo nella psiche umana e stacchi aggressivi che sembrano invece comunicarne il lato più alienato e tragico. Purtroppo a mancare è l'effettiva incisività delle canzoni, eccessivamente prolisse e ripetitive, con pochi spunti interessanti annacquati dal girare attorno esclusivamente ad essi, a volte anche facendo assomigliare fra loro le canzoni. Il lato elettronico inoltre è sottosfruttato, le tastiere vengono relegate a semplice pattern di sottofondo su cui far emergere il canto più lagnoso che angosciato.

L'iniziale You Can Dance in Mist inizia con un arpeggio arabesco che sembra citare, assieme al titolo, i Dead Can Dance, ma rapidamente esso svanisce lasciando spazio a cupi riff intermittenti sovrastati da leggeri giri di note melodiche. Tutto però, come anticipato, viene ripetuto per 6 minuti senza troppe variazioni, che portano alla lunga a stufare - ed è un peccato che l'introduzione non venga più ripresa, suona solo sprecata e fuori luogo così.
Non migliora la situazione Take My Heart to the Oblivion, in certi momenti quasi un doom alla Katatonia misto ai Depeche Mode più oscuri, con un ritornello particolarmente dolente ed enfatico condotto dalla voce femminile, ma dopo poco finisce per stancare e risultare noiosa.
Per fortuna l'interessante strumentale acustica Away non si dilunga, intreccia chitarre classiche e tenui inserti ambientali ricreando l'atmosfera di una foresta buia e solitaria, dando la sensazione di essere proiettati via lontano dalla civiltà urbana (come il titolo suggerisce); nel finale le chitarre spariscono lasciando spazio solo a percussioni ossessive e ad un breve crescendo emotivo di tastiera che tramutano il brano in un confino agghiacciante.
A dispetto del nome, Fairy Tale è il brano più duro e aggressivo del mini, con riff a tratti hard rock occasionalmente tramutanti in muri sonori abrasivi e accompagnati da bassi pulsanti e da un pianoforte solenne che introduce un ritornello raggelante. Il pezzo non è tirato molto per le lunghe, ma l'elettronica rarefatta lo rende un po' spoglio, mentre la poca melodicità del lato chitarristico fa un po' stonare i refrain.
Infine la timida e particolareggiata Surgery, la canzone più atmosferica e malinconica di tutte, con riff ridotti al minimo, occasionali spunti acustici e duetto vocale conclusivo fra i due cantanti (in realtà più un monologo maschile con in sottofondo la voce femminile che ripete le parole conclusive di ogni frase).

In definitiva gli elementi di base su cui concentrarsi ci sono eccome, ma al momento gli Egodrama sono ancora troppo acerbi. Giustamente va detto che sono giovani e avranno di sicuro molto tempo per crescere, focalizzandosi sugli aspetti positivi della loro proposta, quindi auguriamo loro buona fortuna.

La copertina è una versione disegnata del celebre Viandante sul mare di nebbia.

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