Voto: 
9.8 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Columbia Records
Anno: 
1975
Line-Up: 

- Bob Dylan – Chitarra, Armonica, Tastiere, Voce

New York Sessions
- Richard Crooks – Batteria
- Tom McFaul – Tastiere
- Tony Brown – Basso
- Charlie Brown – Chitarra
- Eric Weissberg – Banjo, Chitarra
- Paul Griffin – Organo, Tastiere
- Barry Kornfeld – Chitarra

Minnesota Sessions
- Bill Peterson – Basso
- Gregg Inhofer – Tastiere
- Kevin Odegard – Chitarra
- Bill Berg – Batteria
- Chris Weber – Chitarra, Chitarra a 12 corde
- Peter Ostroushko – Mandolino

Tracklist: 

1. "Tangled Up in Blue" – 5:40 (MIN)
2. "Simple Twist of Fate" – 4:18 (NY)
3. "You're a Big Girl Now" – 4:36 (MIN)
4. "Idiot Wind" – 7:45 (MIN)
5. "You're Gonna Make Me Lonesome When You Go" – 2:58 (NY)
6. "Meet Me in the Morning" – 4:19 (NY)
7. "Lily, Rosemary and the Jack of Hearts" – 8:50 (MIN)
8. "If You See Her, Say Hello" – 4:46 (MIN)
9. "Shelter from the Storm" – 4:59 (NY)
10. "Buckets of Rain" – 3:29 (NY)

*Con (NY) sono segnate le tracce provenienti dalle registrazioni di New York, con (MIN) sono indicate le canzoni registrate a Minneapolis.

Bob Dylan

Blood on the Tracks

Quello che per Rolling Stones è sedicesimo nella classifica degli album più belli di sempre, fu all’epoca il primo vero risveglio di Dylan dalla mediocrità dei suoi lavori settantiani, peraltro preannunciato da un buon episodio nel 1973 (“Planet Waves”) iniziando una fase positiva che continuerà con “Desire” e che sfocerà nel famosissimo tour “Rolling Thunder Revue” in cui il menestrello di Duluth si farà accompagnare da artisti del calibro di Joan Baez e Joni Mitchell.
Chiave di volta di tutto questo è appunto il suo disco del 1975, uno dei più acclamati della sua sterminata discografia: “Blood on the Tracks”.
In questo lavoro Dylan affronta in modo triste e diretto, coniugando perfettamente impatto e delicatezza, il rapporto fra uomo e donna, la relazione fra due persone che si amano; pesa come un macigno sul feeling della registrazione la separazione che l’artista stava vivendo con colei che dal 1965 era sua moglie, Sara Lownds: il divorzio imminente (avverrà nel ’77) rende Dylan aspro (“Idiot Wind”), addolorato, ma non confuso: le sue ‘solite’ metafore ed allegorie, sebbene poco lineari a livello temporale sono profonde e spesso colpiscono nel segno: quasi a mostrare un disco senza una specifica collocazione temporale, ma adatto a molti, a tutti coloro che sono nell’angoscia a causa degli amori.
Amori trascorsi e mai dimenticati nonostante il tempo passato (“If you See Her, Say Hello”), esperienze di una sola notte dalle quali si rimane però irrimediabilmente segnati (“...è solo un semplice capriccio del destino…”, come canta in "Simple Twist of Fate"), amore come difesa contro le avversità (“...Vieni dentro, lei mi disse, ti offrirò un riparo dalla tempesta...”, da "Shelter from the Storm"), amori che sai già rimpiangerai quando giungeranno al termine ("You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go", dal titolo decisamente esplicito): Dylan scava nel rapporto tra gli amanti e tira fuori un disco stupendo, emozionante, vibrante di passioni e rimorsi, incredibilmente limpido e sincero nella sua attualità.

Il processo di registrazione non fu certamente molto lineare, visto che “Blood on the Tracks” è composto da canzoni tratte da due sessioni di registrazione completamente diverse, sia a livello di studios che di musicisti coinvolti. Il disco fu infatti inizialmente registrato nel settembre 1974 a New York negli A&R studios, con l’aiuto di diversi session musicians (pare contattati il giorno stesso): la maggior parte dei brani registrati nella Grande Mela godono di un’atmosfera più calma e introspettiva, ed alcune tracce furono addirittura registrate con il solo accompagnamento del basso di Tony Brown. Dalle sessioni di Nuova York furono mantenuti, per l’effettivo disco finale, solo cinque brani, per maggior praticità elencati a fine recensione. E l’altra metà del disco?
Beh, proprio mentre la Columbia stava per mandare in stampa “Blood on the Tracks”, Dylan, nel frattempo tornato in Minnesota dal fratello, decise di reincidere alcune canzoni con una band di sconosciuti musicisti locali, ed ecco quindi che cinque pezzi verranno estratti dalle sessioni avvenute a fine dicembre 1974 allo Studio 80 di Minneapolis: se questa ‘divisione’ può all’apparenza sembrare un problema, in realtà non ci sono incongruenze di eccessiva eterogeneità o diversità tra le tracce: anzi, la scelta operata da Dylan ci offre un disco con molta meno monotonia e una varietà eccellente – e comunque, per chi volesse sentire gli originali delle songs ri-registrate (ovvero le versioni registrate a N.Y.) basterà che li cerchi in “Bootleg Series Vol. 1-3”.

Ma andiamo ai pezzi veri e propri: Dylan si riscopre fenomenale menestrello dell’acustico e privilegia il feeling del momento (tanto che ai musicisti fu spesso vietato di scriversi le parti): insomma, incide un disco dalla bellezza abbagliante, sicuramente il migliore dopo il suo incidente in motocicletta, e capace di ricreare atmosfere intensissime nonostante la rinuncia all’elettrico e il favore all’approccio acustico.
Strapieno di pezzi clamorosi da cima a fondo, “Blood on the Tracks” è aperto da una coppia di brani fra i migliori dell’intera produzione Dylaniana, “Tangled Up in Blue” e “Simple Twist of Fate”, generalmente considerati come i migliori del disco, seguiti da una coppia di canzoni ri-registrate nel Minnesota, la lenta e triste “You’re a Big Girl Now” (“I'm going out of my mind, oh, oh - With a pain that stops and starts - Like a corkscrew to my heart - Ever since we've been apart”) e l’arrabbiata “Idiot Wind”, molto personale, in cui il protagonista è amareggiato perché la sua donna ha smesso di fidarsi di lui e crede invece a quello che del suo partner legge sui giornali e viene a sapere da altri – è anche un brano in cui Dylan usa una struttura comprendente un ritornello, diversamente da quanto accade nella gran parte del resto del disco in cui le strutture sono più ariose, meno rigide, e in cui ci si limita semplicemente a ripetere, al massimo, il titolo della canzone a fine strofa, senza legarsi più di tanto a una forma-canzone precisamente definita.
Leggerissimo calo subito dopo, con la buona ma breve “You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go” e con “Meet Me in the Morning”, un country/blues meno ispirato degli altri pezzi. La sostenuta e descrittiva “Lily, Rosemary and the Jack of Hearts”, il brano più lungo del lavoro, è una specie di racconto western in cui si intrecciano amore e rapine, e torna ad alzare il livello qualitativo, che raggiungerà nuovamente livelli d’eccellenza nel finale del disco: si prosegue infatti con l’ottava "If You See Her, Say Hello", con il ricordo di un amore la cui piacevole intensità è stata pari solo alla dolorosità della separazione: brano dolce nei ricami delle chitarre di Dylan, Odegard e Weber, come nell’appena accennato accompagnamento ritmico del batterista Berg, ma molto malinconico nei toni della voce di Bob. Nuovamente meraviglie con la seguente “Shelter from the Storm”, più mossa e capace di mostrare un idillio amoroso in cui la donna, improvvisamente, arriva a dare riparo all’uomo, a salvarlo da situazioni difficili: quando questi si accorge di aver preteso troppo e di aspettarsi tutto come dovuto, s’è ormai formato un muro invalicabile tra i due, irrimediabilmente rovinando la relazione: è uno dei pezzi più belli mai scritti dal folksinger americano, e probabilmente l’apice del disco, prima che si chiuda con un altro estratto dalle NY Sessions, “Buckets of Rain”, sobrio e sognante.

Non avrà l’importanza storica e politica dei suoi dischi di protesta, quale ad esempio “Freewheelin...”, né l’esplosiva carica rivoluzionaria a livello musicale che rende “Bringin’ It All Back Home”, “Highway 61 Revisited” e “Blonde on Blonde” masterpieces del Rock, sono il primo a dirlo: ma “Blood on the Tracks” è il disco più profondo, più sofferto, quello che più di tutti colpisce nell’intimo chi ascolta, quello in cui le emozioni sgorgano dure, improvvise, vive, come da una ferita: come quella che “Blood on the Tracks” lascerà nel vostro cuore.
Il Dylan acustico non è mai stato così ispirato: Capolavoro, con la C maiuscola.
 

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