Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Supernal Music
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Roman Saenko
- Thurios
- Yuri


Tracklist: 

1. Sunset In Carpathians (02:47)
2. Tears Of Gods (08:34)
3. Archaic Dance (03:28)
4. The Milky Way (09:52)
5. Why The Sun Becomes Sad (05:45)
6. The Cranes Will Never Return Here (03:26)
7. Grey-Haired Steppe (02:08)

Drudkh

Songs of Grief and Solitude

Seconda pubblicazione quest’anno per gli ucraini Drudkh, trio dedito ad un Pagan Black Metal di qualità elevatissima, autore di quattro dischi che sono valsi al gruppo lodi incondizionate dal pubblico del settore e grande apprezzamento da gran parte della critica.
Il gruppo è sempre stato estremamente prolifico, pubblicando ogni anno un nuovo disco, a partire da quel 2003 che li vide debuttare con il buonissimo “Forgotten Legends”; l’anno successivo vide la pubblicazione del loro miglior lavoro, il masterpiece “Autumn Aurora”, mentre nel 2005 il gruppo ebbe un lieve calo d’ispirazione, producendo il lavoro meno ispirato della propria breve carriera, “The Swan Road”.
Arriviamo dunque in questo 2006, in cui la band est-europea si è nuovamente portata ai massimi livelli con “Blood in Our Wells” , di cui ho potuto decantarvi la bellezza in una recensione primaverile: si tratta di uno dei lavori più affascinanti degli ultimi tempi in ambito Black Metal, e torno a consigliarne l’ascolto agli appassionati che abbiano perso l’occasione di ascoltarlo in occasione del mio precedente articolo.
A riprova di un momento d’oro per il trio, l’Ottobre del 2006 vede la pubblicazione, sempre sotto la fedele Supernal Music, di un nuovo capitolo, “Songs Of Grief & Solitude”, la cui peculiarità è quella di essere il primo disco interamente acustico dei Drudkh.

Se è vero che i precedenti lavori del gruppo contenevano abbondanti dosi di momenti acustici o ispirati dal Folk, con questo nuovo platter la band abbandona qualsiasi velleità aggressiva e si dedica ad un disco completamente d’atmosfera, riportando in vita antiche melodie rurali e motivi prettamente folkloristici.
La strumentazione si trasforma da elettrica ad acustica, evitando percussioni e chitarre taglienti, ed incorporando probabilmente qualche bandura o qualche kobza; troviamo comunque il solito basso (poco valorizzato, a dire il vero), effetti campionati (rumori di uccelli, vento, pioggia, risacca…) ma soprattutto chitarre acustiche e particolari flauti dal suono acuto; perfino il canto è escluso: addirittura, nei quasi dieci minuti di “The Milky Way”, forse il miglior episodio del lavoro, assistiamo semplicemente a intrecci acustici, senza nessun altro espediente aggiuntivo (se non un basso in sottofondo) che intacchi la purezza delle melodie disegnate da Saenko e soci.

Va detto però che questa monotonia strumentale si ripercuote parzialmente anche nella composizione delle canzoni, tutte abbastanza similari nell’approccio e nell’atmosfera creata; “Songs of Grief and Solitude”, che a dispetto del titolo contiene anche motivi relativamente positivi e solari, punta tutto sul feeling e sul mood che è capace di creare, in quanto tecnicamente ha ben poco da dire; il disco si farà apprezzare quindi da chi cerca una mezz’ora di tranquillità e pace, da chi cerca un’immersione nelle atmosfere delle sterminate steppe delle regioni orientali o in quelle delle misteriose montagne che cingono ad ovest il territorio ucraino.
Non aspettatevi quindi grandi cose, il disco delude abbastanza durante le prime listening sessions, e viene rivalutato solo in seguito a più rilassati e meno ansiosi ascolti; chi saprà accontentarsi potrà quindi godere maggiormente di “Songs of Grief and Solitude”, un disco praticamente di Ambient Music, molto omogeneo e con pochi picchi, adattissimo quindi per qualche minuto di relax prima di coricarsi o per rilassarsi, mentre si rivelerebbe poco soddisfacente ad un ascolto attento ed analitico.

E’ quindi palese che ci si attendesse di più da questa versione acustica dei Drudkh ma, in fondo, le emozioni e le atmosfere caratteristiche della band sono mantenute, e talvolta enfatizzate grazie alle suggestioni acustiche; se era lecito aspettarsi qualche ‘colpo di coda’ capace di dare al disco una maggiore profondità e qualche chiave di lettura in più, è anche vero che i Drudkh ci hanno regalato la solita manciata di emozioni: la forma è cambiata, il livello qualitativo si è leggermente abbassato, ma i fanatici della scena est-europea potrebbero comunque trovare interessante questo esperimento della band ucraina, in attesa dell’incombente “River of Tears”, atteso per l’anno prossimo, in cui i Drudkh si riavvicineranno al loro usuale stile.

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