Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Amanda Palmer - voce, pianoforte, tastiere
- Brian Viglione - batteria, chitarra acustica nel brano 13


Tracklist: 

1. Sex Changes
2. Backstabber
3. Modern Moonlight
4. My Alcoholic Friends
5. Delilah
6. Dirty Business
7. First Orgasm
8. Mrs. O
9. Shores of California
10. Necessary Evil
11. Mandy Goes Tto Med School
12. Me & the Minibar
13. Sing

Dresden Dolls, The

Yes, Virginia

Arrivati ormai al secondo studio album (nel frattempo c'è subito la pubblicazione di un DVD, cioè Paradise), i Dresden Dolls, il duo americano composto dalla forte voce di Amanda Palmer (anche al piano) e dalla batteria di Brian Viglione, iniziano ad acquistare una certa notorietà nell'ambiente musicale dopo essersi già fatti una discreta fama nel loro paese, grazie anche al loro stile assolutamente anti-conformista e provocatorio, tanto che alcuni loro testi hanno avuto problemi con la censura. Un pizzico di delusione lo avvertono però i fan che erano rimasti spiazzati dalla freschezza del debutto, e che nel secondo disco vedono un certo appiattimento e la mancanza di novità destata dal primo disco; ai motivi di questa delusione va aggiunto anche che i fan avevano interpretato il mood più oscuro di The Dresden Dolls come generale, mentre in realtà gli stessi Dresden Dolls hanno dichiarato come fosse esclusivamente di quell'album. Effettivamente, il primo disco è ancora adesso il migliore. Ma, complice anche il sostegno della nuova label Roadrunner, il passaparola si sta facendo sempre più frequente e sempre più ascoltatori stanno iniziando a scoprire il duo di Boston. Sul piano strettamente musicale, catalizzatore di questo interesse nei loro confronti è ovviamente l'originalità del genere che si sono auto-affibiati, quel "Brechtian Punk Cabaret" che con un fugace spirito retrò riesce ugualmente ad attualizzarsi e a inserirsi nel pensiero, anche sociale, dei primi anni duemila. E qui torniamo alla loro attitudine e alle tematiche che affrontano.

Come nell'omonimo debutto, in Yes, Virginia la componente socio-politica è magistralmente affrontata nei testi, al punto da divenire in alcuni punti tanto mordaci e pungenti da sfiorare la beffarda presa in giro nei confronti di chi, come i gestori delle grandi catene di supermercati Wal Mart, hanno borbottato con insoddisfazione al loro inserimento nella catena di distribuzione. Il primo esempio che essi stessi riportano è First Orgasm. Basata su melodie innocenti di pianoforte che sostengono la tenera voce di Amanda, il titolo lascia intuire come, ovviamente, "quelli che benpensano" (come li chiamerebbe Frankie Hi-NRG) della succitata Wal Mart non possano lasciare turbi la sensibilità delle famiglie americane. E andando oltre, tutti i vari fuck che Amanda ha inserito nel disco sono stati rimossi in una successiva versione del disco, sfumando la voce nei punti incriminati. Ma lei sa che “La gente non è stupida e userà l'immaginazione” e che “Spesso lasciare sottinteso qualcosa è più forte che dirlo esplicitamente”. Una questione scottante quindi, ma assolutamente non per il solo gusto di far inorridire la massa, così come nel debutto c'è un messaggio di fondo intelligente e i Dresden Dolls sono consapevoli del potere espressivo e comunicativo che possono ottenere con la loro musica. A cominciare dal titolo: "Yes, Virginia" si riferisce ad una lettera del 1897. All'epoca una bambina, Virginia O' Hanlon, scrisse al direttore del New York Sun, Francis P. Church, chiedendo se Babbo Natale esistesse. La risposta fu, per l'appunto, “Sì Virginia”, e il resto divenne una toccante storia d'epoca sull'importanza di credere in qualcosa e di avere delle speranze, appellandosi all'innocenza perduta e allo sfidare le canoniche convenzioni sociali. “Sì Virginia, Babbo Natale esiste anche se non lo puoi vedere, esattamente come l'amore, la generosità e la devozione, le cose più vere del mondo sono quelle che né i bambini né gli uomini possono vedere.” Una metafora che può essere facilmente rivolta contro la superficialità e il qualunquismo odierni, dalla domanda di una bambina più sveglia di molti adulti. Il contesto naturalmente non manca di connotati politicizzati, tocca soprattutto brani come la famigerata Mrs. O, nota per aver toccato anche il tabù dell'olocausto (da cui la o):

"we all know there's no Hitler and no holocaust, no Winter and no Santa Claus"

Detta così, isolata dal contesto, questa frase può essere facilmente male interpretata, ma in realtà la canzone racconta di come celare verità pericolose per evitare che vi si entri in contatto.

"and yes Virginia all because the truth won't save you now"

Il riferimento particolare ad Hitler viene dall'epoca successiva alla tormentata Repubblica di Weimar a cui già il duo a partire dal suo nome ha puntato l'indice, quando il Führer censurò l'arte a suo discutibile parere "degenerata"; torniamo così all'inizio del discorso, con l'attualizzazione delle tematiche dei Dresden Dolls e i tentativi di censura negli Stati Uniti: e con i riferimenti al presidente e ai terroristi che recita Sing (il primo singolo), il cerchio a questo punto è completo.
Musicalmente il disco è simile al precedente, di cui infatti prosegue il percorso, ma ha un piglio meno intenso e maggiormente orecchiabile, è più pop e più aperto; non ci sono la novità e l'impatto del precedente, le atmosfere sono più "leggere", ma il risultato rimane ampiamente ascoltabile. Non bisogna cadere nell'errore di sottovalutarlo e di considerarlo mediocre, come qualcuno inizialmente pensò, per il semplice motivo che non è il debutto, perché i Dresden Dolls mantengono la stessa bravura compositiva ed esecutiva che li ha caratterizzati nel precedente disco. Il segreto è vederli in quest'ottica differente. Yes, Virginia è per tutto il corso del full-lenght sempre onestamente godibile, e anche se alcuni brani non posseggono la stessa impetuosità dei pezzi migliori del precedente, non esistono fillers e il disco scorre piacevolmente e fluidamente. Amanda è una signora cantante e, anche se mancano alcuni dei gorgheggi e delle "urla" del debutto, la sua prestazione è ottima; non preclude affatto il suo lavoro al pianoforte, sia quando propone melodie più scanzonate (Backstabber) che quando si lancia furiosamente sui tasti (Modern Moonlight) o lascia spazio a dolci ballate (Delilah, Me & the Minibar). Come lei stessa ammette, è digiuna di tecnica, ma compensa abbondantemente con la sua intensità e il suo brio. Brian Viglione mantiene tutta l'abilità e la solidità che aveva già dimostrato, mostrandosi ancora più maturo e sicuro di sè nell'esecuzione; è probabilmente uno dei batteristi più completi degli ultimi anni. I momenti migliori sono senza dubbio pezzi come l'iniziale Sex Changes o le già citate First Orgasm e l'evocativa Sing in cui fa la sua comparsa la chitarra acustica, ma anche nei brani più scanzonati (come Dirty Businness, My Alcoholic Friends o Necessary Evil) i Dresden Dolls mostrano appieno la loro classe. Qualche brano può apparire più sfocato, come Mandy Goes to School, ma nel complesso il disco si assesta su buoni livelli.
In definitiva, pur essendo un cabaret punk "meno punk", pur essendo inferiore all'esordio, l'ascolto di Yes, Virginia è incoraggiato per tutti i fan del debutto (consigliamo comunque di iniziare ad ascoltare il duo proprio dal primo album), qualcuno potrà storcere il naso ugualmente, ma se si presuppone che non si debbano ripetere si lascia ascoltare alla grande, soprattutto se si pensa che ad essere tutti così i "secondi album mediocri" allora non avremmo di che lamentarci.
Se ci sono gruppi dal potenziale di sfornare un grosso capolavoro nei prossimi anni, i Dresden Dolls sono fra essi. Un duo che ha qualcosa da dire, e lo fa con grande creatività e carisma.

"Sing for the bartender, sing for the janitor, sing for the cameras, sing for the animals, sing for the children shooting the children, sing for the teachers who told you that you couldn't sing...
[...]
Sing cause its obvious, sing for the astronauts, sing for the president, sing for the terrorists, sing for the soccer team, sing for the janjaweed, sing for the kid with the phone who refuses to sing...
Just sing"


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