Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Phil Anselmo - voce
- Pepper Keenan - chitarra
- Kirk Windstein - chitarra
- Rex Brown - basso
- Jimmy Bower - batteria

Tracklist: 


1. Three Suns And One Star
2. The Path
3. N.O.D.
4. I Scream
5. On March The Saints
6. Never Try
7. Mourn
8. Beneath The Tides
9. His Majesty The Desert
10. Pillamyd
11. In The Thrall Of It All
12. Nothing In Return (Walk Away)

Down

Down III: Over the Under

Altri cinque anni ed il meteorite di nome Down decide nuovamente di transitare in prossimità della Terra riuscendo, come ogni evento raro che si rispetti, a catalizzare tutta l’attenzione dei media (pubblico) e degli esperti (stampa). Il meteorite, in questa caduta libera naturalmente diretta verso il basso come da moniker, ha vissuto nel frangente un cambio di sponsorship (da Elektra a Roadrunner) che non è riuscito a scalfire minimamente l’ingegno e la dedizione dei suoi piloti, i quali hanno proseguito nel loro percorso di maturazione (come se ne avessero ancora bisogno) ed hanno forgiato un’altra opera del loro cammino musicale.

Addio i fronzoli, addio i multiformi cambi di atmosfere che Down II ci aveva donato, l’unica essenza capace di spezzare il fiato sono i cambi di tempo ma sempre caratterizzati da quel retrogusto puramente Sludge che, nonostante i tentativi dei più, solo i Down riescono a regalarci. Never Try e His Majesty The Desert sembrano le uniche forti reminiscenze del passato che vanno a ripescare in parte dalla malinconia di Jail (NOLA) in parte dal vecchio baule dei ricordi dal nome Corrosion Of Conformity.

L’inizio è subito roboante: Three Suns And One Star, con una carica esplosiva che solo una magistrale opener poteva portare con sé, The Path, cadenzata come solo loro potevano partorire e ruvida come una scivolata dritta sull’asfalto appena piallato, N.O.D. in cui Phil accumula tutta la sua rabbia per sprigionarla con una “calma cattiva”. Un terzetto assolutamente da sballo.Un’altra gemma prende il nome di On March The Saints, immancabile negli show live: nonostante un suo nostalgico accostamento al sound RATM/Audioslave (in primis per l’approccio vocale di Chris Cornell ma anche per una sei corde che Morello apprezzerebbe), assorbe tutte le nostre forze dando una spinta in avanti all’intero album. I Scream rientra invece nel gruppetto delle songs inseguitrici, grazie alla sua struttura semplice vivrebbe sicuramente di una seconda luce se rivista in chiave acustica con il suo mood cadenzato ma feroce. E mentre Mourn può essere annoverata all’interno del gruppetto su citato, Beneath The Tides ne prende le distanze abbandonando parzialmente la rabbia tipica del trademark Down e cedendosi a riff più caldi e southern rock (vedi intro).

Over the Under
risulta duro, più diretto del predecessore, ispirato. Sembra quasi che i Down abbiano voluto ricreare il groove live che con Down II si era un po’ affievolito, a vantaggio della genialità compositiva, ma che era nato prepotentemente con NOLA. Maturo, solido, corposo: sensazioni che vengono esaltate in chiusura dalla caparbia Pillamyd che ci riporta ai livelli dell’olimpo dei tre pezzi di apertura, impreziosita da arrangiamenti davvero originali e che non trovano confronto con quanto prodotto dai Down fino ad oggi (a differenza di In The Thrall Of It All che è a metà strada tra un b-side di NOLA ed una rivisitazione di The Man That Follows Hell). Sensazionale Nothing In Return, impossibile da descrivere… ascoltatela e chiudete gli occhi!

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