Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

:
- Kristofer Dommin – vocals, guitar
- Billy James – bass
- Konstantine – keyboards
- Cameron Morris - drums

Tracklist: 

:
01. My Heart, Your Hands
02. New
03. Evenfall Hollow
04. Tonight
05. Love Is Gone
06. Dark Holiday
07. Without End
08. Within Reach
09. Closure
10. Making The Most
11. One Feeling
12. I Still Lost
13. One Eye Open
14. Honestly
15. Remember

Dommin

Love Is Gone

Che il panorama gothic rock necessitasse di nuove leve, era una constatazione equivalente a quella già sviluppata nel caso del gothic metal:  al di là di un certo vecchiume ormai stantio e derivativo, da tempo nessuna formazione riusciva a proporne una benché minima innovazione, non tanto nella forma quanto nell’attitudine, talvolta votata ad un certo glam piuttosto prevedibile, talvolta sedotta da un fascino commerciale che ben poco dovrebbe sposarsi con le atmosfere cupe e decadenti che ne sono certamente l’emblema. Uno slancio deciso, tanto inatteso quanto benaugurato, lo offre uno dei recenti acquisti di casa Roadrunner Records, molto attenta a scovare formazioni in grado di coniugare qualità, originalità e una certa dose di appeal mediatico: sono proprio queste le caratteristiche principali dei Dommin, giovanissima band californiana, che si presenta al grande pubblico con suo secondo album, intitolato Love Is Gone.

Va precisato che la formazione nordamericana, che deve il proprio nome al suo leader Kristofer Dommin, non fa mistero delle proprie coordinate stilistiche, anzi, va promuovendo un’etichetta precisa che, sebbene apparentemente commerciale, in realtà si rivela piuttosto emblematica e significativa: stiamo infatti parlando di un rock romantico per “cuori spezzati”, caratterizzato da un sound essenziale, minimalista, talvolta rafforzato da effetti sonori profondamente atmosferici, su tutti quegli assidui rintocchi di campana che, di fatto, rappresentano l’appiglio più illuminante per caratterizzare i Dommin come gothic band. Il punto di forza di questa originale proposta musicale risiede in 2 aspetti fondamentali e strettamente correlati fra loro, ovvero la voce calda, pastosa, dal timbro incredibilmente presleyiano, che si accompagna perfettamente a vere e proprie canzoni old style, semplici ed intuitive ma di rado eccessivamente banali o radio-friendly.

In sintesi, Love Is Gone altro non è che una raccolta di tracce anthemistiche dal fascino settantiano, ovviamente provocato dal personalissimo colore vocale del singer, che, nelle liriche soprattutto ma anche in certe particolari sfumature melodiche, si nutre delle esperienze gotiche. Fra melodie avvolgenti, come My Heart, You Hands, primo singolo estratto, e la titletrack Love Is Gone, o anche la gradevole Without End, e soluzione più dinamiche, come nei casi di New o Tonight, esaltate da un brillante lavoro di tastiere, si individuano senza dubbio alcuni momenti diversi da quanto appena suggerito, come nel caso dell’alt rock più atmosferico di Making The Most, o nella svolta hard rock della più ruvida One Feeling (con tanto di sorprendente assolo di chitarra), o nelle sensazioni più cupe e massicce che dominano l’aggressiva I Still Lost, senza dimenticare la ballad semi-orchestrale, fra pianoforte e violini, posta in chiusura di platter. 

Tuttavia, se a queste variazioni, più nominali che effettivamente rappresentative, si aggiungono ben 3 intermezzi, del tutto inutili alla luce della loro totale inconsistenza (con la sola eccezione di Within Reach, sintetico ma convincente), del tutto superflui in virtù della loro pessima collocazione, si potrà facilmente ravvisare come la vera pecca di questo album consista in un certa ripetitività delle soluzioni adottate, che possono facilmente portare a saturazione anche l’ascoltatore più volenteroso. In altri termini, per quanto lo stile presentato dai Dommin sia piuttosto originale, per certi versi addirittura unico, non riesce ugualmente a reggere sulla lunga distanza, scadendo in episodi francamente noiosi quale One Eye Open, elettronico sì ma nettamente inferiore ai precedenti. 

Ecco allora palesarsi un elemento fondamentale che certamente avremmo dovuto considerare in precedenza e sin dall’inizio, ossia la giovane età dei membri della band, e una discografia ancora limitata, e quindi quell’inevitabile mancanza d’esperienza che, pur rendendo ancora acerbi i frutti dei loro primi sforzi, ugualmente è foriera di buone speranze per il loro futuro artistico. Proprio da questo punto di vista ci sentiamo in dovere di segnalare una canzone particolare ed affascinante come Dark Holyday, in cui i Dommin rivelano un’attitudine swing che va ben oltre una voce evocativa o una capigliatura facilmente associabile: se decidessero di trarre maggior linfa da questa stuzzicante vena creativa, siamo certi che ne vedremmo davvero delle belle. 

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