Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Constellation
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Ohad Benchetrir - Chitarra, Tastiera, Corno
- Dave Mitchell - Batteria
- James Payment - Batterua
- Justin Small - Chitarra, Tastiera
- Charles Spearin - Chitarra, Basso, Tastiera
Guests:
- Julie Penner - Violino
- Michael Barth - Tromba
- Akron/Family & Lullabye Arkestra - Coro

Tracklist: 

1. Do
2. Make
3. Say
4. Think

Do Make Say Think

Other Truths

Dopo quattro dischi d'assoluto valore comunemente apprezzati da pubblico e critica, non è facile per nessuno rimanere ad alti livelli senza perdere smalto, senza smarrire un minimo d'ispirazione, d'indole creativa. Peccato che i Do Make Say Think queste caratteristiche le abbiano perse contemporaneamente in un solo, straniante colpo: Other Truths - come al solito prodotto sotto la supervisione dell'inossidabile Constellation - può difatti considerarsi il primo vero passo falso della band canadese, dedita da ormai dieci anni (l'omonimo full-lenght d'esordio è datato 1999) ad un post rock corposo ed estremamente originale che col tempo ha finito per diventare uno dei più apprezzati paradigmi di un genere che vede proprio nei nordamericani alcuni tra i suoi migliori interpreti.

Questo perchè a partire dal 2000 - anno di pubblicazione del primo gioiello Goodbye Enemy Airship the Landlord Is Dead - i Do Make Say Think non hanno fatto altro che partorire dischi di grande qualità: i vari & Yet & Yet (picco irraggiungibile nella loro discografia), Winter Hymn Country Hymn Secret Hymn oltre che l'ultimo You, You're a History in Rust, sono infatti stati alcuni tra i più convincenti episodi dell'ultima ondata post rock del nuovo millennio, dato da attribuire all'assoluta indipendenza artistica dei canadesi, abili nel costruire uno stile lontanto dalle eco europee (Mogwai et similia) e proiettato verso un'insolita simbiosi di rock strumentale, aperture progressive e ricercate contaminazioni folk-acustiche.

In Other Truths pare invece di ascoltare un gruppo improvvisamente cambiato, in peggio. Le struggenti decorazioni strumentali tipiche della band scompaiono qui sotto l'avanzata di un minimalismo statico che scarnifica sin nei minimi termini (oltre che in maniera piuttosto banale) gli arrangiamenti e le atmosfere della band. A rendere ancora più pressante tale situazione vi è la struttura del disco, concentrato in quattro lunghe suite (Do, Make, Say, Think) che lasciano poco respiro e costringono ad un ascolto che a tratti può sembrare forzato, tutt'altro che naturale.
Do ne è l'esempio lampante, non solo perchè primo brano del disco ma perchè va a mostrarne velocemente tratti e significati. Scarno e ruvido, l'ensemble strumentale pare svuotarsi di qualsiasi convincente capacità evocativa, spegnendosi in continuazione in un riffing che cerca di essere travolgente e dinamico per sopperire ad un'evidente mancanza di stimoli melodici: solo nella più robusta e atmosferica parte centrale (splendida l'entrata delle trombe) e nel diminuendo finale i Do Make Say Think riescono infatti a mostrare la loro vera identità, lasciando però il resto del brano il balìa di un post rock banale e dallo scarso impatto. Say, sebbene costituita da melodie più dense e arrangiamenti più vari, non sembra essere in grado di cambiare il discorso a riguardo, precedendo senza grandi colpi di scena - se non quello dato dal coretto finale degli ospiti Akron/Family - la conclusiva Think (buona linea melodica appesantita però da un minutaggio e da un minimalismo eccessivi oltre che da un'atmosfera esageratamente soporifera).

Unica nota lieta di Other Truths rimane quindi la seconda Make, esperimento più elegante e ricercato che fa (solo in parte) rivalutare il disco, evitandone il pietoso tracollo: padrona di uno slancio melodico palesemente più imponente e fascinoso, la canzone si eleva in un toccante crescendo strumentale egregiamente diretto dalla potenza timbrica dell'accoppiata corno/tromba e sostenuto da dinamiche jazz precise e raffinate su cui si appoggiano i possenti giochi chitarristici dei canadesi. Ma, come si sa, non può essere una singola canzone a salvare un intero disco e il verdetto per Other Truths pare essere già abbondantemente definito: troppo scarno e minimalista, prevedibile nella costruzione strumentale, stantio nella ricerca stilistica e palesemente privo del fascino melodico che distingueva le precedenti perle, Other Truths getta per la prima volta delle ombre su un nome che l'oscurità artistica non l'ha mai nemmeno sfiorata.
I Do Make Say Think, almeno, per cadere ci hanno impiegato dieci anni - e non un album - al contrario di molti altri colleghi.

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