Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2007
Line-Up: 

:
- Tommy “Vext” Cummings – vocals
- Dino Cazares – guitar, bass
- Tim Yeung – drums

Guests:
- Tony Campos (Static-X) – bass on Rise The Scorned e Closure

Tracklist: 

:
01. Bleed the Fifth
02. Failed Creation
03. The Threat is Real
04. Impossible is Nothing
05. Savior Self
06. Rise of the Scorned
07. False Gospel
08. Soul Decoded (Now and Forever)
09. Royal Blood Heresy
10. Closure

Divine Heresy

Bleed the Fifth

I Divine Heresy costituiscono il quarto progetto parallelo del massiccio chitarrista Dino Cazares e, soprattutto, rappresentano la sua prima prova nell’era post-Fear Factory. Abbandonata in malo modo la storica crew di Burton Bell, Christian Wolbers e Raymond Herrera nel lontano 2002, il corpulento musicista messicano si era da subito attivato per dare vita ad una creatura a propria forma e somiglianza che potesse rilanciarne la fama: indicendo vere e proprie audizioni per poter valutare lucidamente tutti i possibili candidati, alla fine la scelta è ricaduta su veri e propri mastini del palcoscenico, vale a dire l’ex drummer di Nile e Vital Remains Tim Yeung ed il bassista, anch’egli ex Nile, Joe Payne (entrato in lineup solamente in seguito alle registrazioni dell’album, per il quale hanno contribuito, al basso, lo stesso Dino Cazares e Tony Campos degli Static-X). Un simile terzetto di all stars del metal, arricchito al microfono dalla presenza di Tommy "Vext" Cummings, non poteva che dare alle stampe un album di sicuro valore, ma probabilmente nessuno, tanto meno una critica scettica e astiosa di fronte allo sciagurato addio di Dino Cazares alla Fabbrica del Terrore, avrebbe potuto immaginare che la nuova creatura del riffer centroamericano avrebbe mai potuto oscurare i seguenti lavori della sua ex band: Bleed The Fifth (stuzzicante gioco di parole sul celebre 5° emendamento del sistema giudiziario americano, che a parte casi particolari vieta i processi per un crimine grave se non sotto accusa della gran giuria, ne proibisce la ripetizione dopo un'assoluzione, vieta la punizione senza processo e consente ad una persona accusata di non testimoniare anche sotto giuramento se la testimonianza è contro sè stessi), pubblicato in Europa il 27 agosto 2007, ha saputo riscuotere un successo di pubblico e di vendite assolutamente imprevedibile ed ulteriormente posto in risalto dalla contemporanea deriva artistica dei Fear Factory, definitivamente scioltisi l’anno precedente.

Se le premesse erano certamente promettenti, il risultato non può che dirsi in linea con quanto ci si aspettava, se non oltre: lo stile dei Divine Heresy, rivelatosi poi clamorosamente vincente, fonde in maniera sanguinosa blastbeating mortali, riffs virulenti e vocals sempre cruente se non in certi refrains, dove lampi di clean cedono a qualche prezioso ammiccamento melodico. Una sintesi moderna di ritmiche death metal, furenti passaggi groove e un mood dannatamente ‘core del quale le vocals non sono che, soltanto, la manifestazione più palese: è così che la formazione di Dino Cazares, magistralmente supportata dalla produzione dell’ex Machine Head Logan Mader, ha saputo miscelare con inaudita efficacia le caratteristiche naturali dei propri componenti sfornando un lavoro massiccio, ostico ma di grande impatto che fatica ad essere rinchiuso nella ristretta definizione di deathcore così come in quella più ampia, ma ugualmente vaga, di metalcore. Il contributo dei singoli strumentisti si rivela inevitabilmente figlio delle loro precedenti esperienze: se Tim Yeung si conferma un assoluto martello pneumatico dietro le pelli, divorandosele, Dino Cazares, non esattamente un funambolo delle 6 corde, si toglie lo sfizio di cimentarsi addirittura in qualche brillante assolo di chitarra (soprattutto nella titletrack Bleed The Fith, ma compare un breve accenno anche in Impossibile Is Nothing), riproponendo ugualmente il proprio riffing ribassato e tagliente; in ombra finisce forse Joe Payne, schiacciato fra le martellate del suo ex collega nei Nile e le sciabolate dell’ex Fear Factory, mentre il debuttante Vext, oltre che a provvedere a tutte le lyrics dell’album (impegno gravoso ma appagante, soprattutto per un rookie), dimostra sin da subito padronanza e naturalezza, risultando convincente tanto nelle rabbiose dinamiche growls quanto negli esplosivi stacchi in clean.

Per quanto riguarda strettamente l’album, è bene sottolineare che non ci troviamo di fronte ad un capolavoro assoluto: Bleed The Fifth, per quanto manifesti compattezza, coerenza e violenza in quantità industriale, sebbene mai gratuita o smodata (il ché è certamente un pregio), nel corso degli ascolti paga una certa ripetitività di soluzioni e soprattutto una fastidiosa sconnessione fra le strofe e le sezioni strumentali da una parte, i chorus melodici dall’altra, i quali lasciano talvolta (è il caso di Impossibile in Nothing ma non di Failed Creation, tanto per citare un contraddittorio) un’appiccicosa sensazione di posticcio e artificioso, come se ci trovassimo in presenza di una scelta stilistica forzosa e viziata da logiche commerciali. Si tratta solamente di un’impressione passeggera, peraltro probabilmente forviata dalla difficoltà oggettiva di inserire l’orecchiabilità delle clean vocals all’interno di una struttura canora che fa della brutalità il proprio tratto distintivo, tuttavia è un segnale allarmante, in quanto ci lascia con un dubbio angusto e malevolo, ma allo stesso tempo rassicurante, in quanto dimostra come i Divine Heresy siano ben lontani dalla loro massima espressione, sia in termini di songwriting che sotto il profilo strettamente emozionale. Bleed The Fifth, tuttavia, è un album solido e concreto da parte di veri e propri operai del metal moderno, che alterna con oculatezza e genuinità momenti più melodici e discograficamente appetibili (oltre alla titletrack, Failed Creation, molto vicina ai confini più propriamente metalcore, così come la già citata Impossibile Is Nothing, dall’inquietante riffing noir, o Savior Self, che alterna un drumming thrashy in controtempo ad un chorus clean dalle sfumature quasi pop ed inserisce alcuni rintocchi elettronici di reminiscenza FF, ma anche l’imprevedibile Rise Of The Scorned, dai sorprendenti inserti acustici ed elettronici) ad altri più incisivi e violenti (le groovy This Threat Is Real, dove riaffiorano echi industrial, False Gospel e soprattutto Soul Decoded, in assoluto la traccia migliore del lotto), ponendo in chiusura una piacevole eccezione, ovvero la ballad  Closure, episodio sorprendentemente gradevole soprattutto in virtù dell’effetto straniante nei confronti del contesto in cui si colloca.

La nuova band di Dino Cazares merita un ulteriore plauso in quanto, nonostante la recente formazione e gli alti propositi del proprio creatore e fondatore, manifesta un amalgama praticamente perfetta tra i suoi componenti, facendo sì che i Divine Heresy siano, ben più degli Asesino e dei Brujeria, non soltanto l’ennesimo progetto più o meno estemporaneo di Dino Cazares bensì una nuova creatura discografica coesa e riconoscibile di cui il chitarrista messicano è parte e leader, ma nella quale gli altri musicisti non sono soltanto comparse relegate alle spalle della sua (maggiore) notorietà. Proprio quest’ultima costituiva un banco di prova di formidabile asperità, in quanto ripartire daccapo dopo aver fatto la storia del metal assieme ai Fear Factory significava dover convivere con lo spettro di un passato glorioso ma difficilmente ripetibile, reso ancor più sofferente dal brusco distacco con la sua ex formazione: in barba a scetticismi e malauguri (non è un caso se lo stesso chitarrista abbia presentato questo album come un immenso “F*** you” a tutti quanti speculavano sui suoi futuri fallimenti), il buon Dino Cazares è riuscito a reinventarsi in una dimensione forse non inattesa ma certamente adatta alle proprie caratteristiche, potendo contare sul contributo di elementi superlativi (Tim Yeung su tutti, ovviamente) e dando definitivamente avvio ad una nuova carriera discografica di cui Bleed The Fifth non è, davvero, che il torrido inizio.  

Giudizio finale, 7/8 : album tarchiato e feroce almeno quanto il suo artefice principale, in grado di sorprendere sia i deathsters più fanatici sia i nuovi discepoli del metalcore; una ventata di potenza, brutale e ammiccante al tempo stesso, che ci consegna una nuova band da tenere d'occhio negli anni a venire.

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