Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Hammerheart Records
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Eumel - chitarra, voce
- Volkmar - basso
- Pest - tastiera
- Skeletton - batteria, screams


Tracklist: 

1. Iron First
2. The Almighty
3. Execute
4. Downfall
5. Instinct
6. V.A.D.E.R.
7. Metal Will Never Die,
8. Dostulata
9. Eye Of A Rose
10. Slave Of Hate
11. To Live Is To Die
12. Enslaved
13. Human End
14. The Hit (bonus track)
15. Dragonheart (bonus track)
16. Der Arme Kunrad (bonus track)

Die Apokalyptischen Reiter

Soft & Stronger

Die Apokalyptischen Reiter: un nome che a molti potrebbe non dire quasi nulla pur portando con sé un significato molto forte, molto strong. Il primo approccio con questa band è sempre complesso: gli stereotipi che il nome trasmette non facilitano la cosa. Infatti prima di concedersi all’ascolto si possono immaginare già lidi industrial e pseudo elettronici (il moniker tedesco fa brutti scherzi) ma subito ci si ricrede.

L'album di debutto, Soft & Stronger, imposta subito le proprie radici su un black metal molto sinfonico, grazie ad alcuni primi vagiti debitori ai Cradle Of Filth (in piena scena Vempire, Or Dark Faerytales In Phallustein ma attingendo anche a periodi antecedenti), con tastiere in prima linea che scandalizzano le urla del batterista e del cantante, sempre in stile horror e spesso incomprensibili…insomma non si potrebbe desiderare di meglio!Lo stile è molto originale, non solo per una serie di cambi di rotta che fa di ogni pezzo una sinfonia di dolore e di distruzione, ma anche per un tocco marcatamente kitch, che pur sfociando talvolta nel classico approccio Manowar o alla viking metal (vedi cavalli in sottofondo di Iron First), dà sempre un sapore di elaborato e compatto, ingredienti “must” del genere.

I fiumi di idee che sfociano in Soft & Stronger sono davvero molteplici: flauti (Excecute) che rimandano ad atmosfere templari, suoni di corni (Downfall) che presagiscono inni di guerra, riff acustici colorati di sangue sempre antesignani di sfuriate crudissime, senza possibilità di respiro.Le chitarre sono marcatamente black, con quel loro sapore sporco ma anche thrash che cancella ogni rancore umano, mentre un ottimo e virtuosissimo lavoro vocale è enfatizzato dalle strofe dark della già citata Downfall (protagonista tra l’altro di un riff centrale da distruzione di massa) e dalla voce vomitevole, quasi grind, riscontrata tra l’altro in Instict, in cui c’è anche un piacevole coro che si concede ad un sapore epico.Pezzi carichissimi, sempre tirati (la durata media si attesta sui 3 minuti circa) si alternano a momenti cadenzati ma mai “soft” (nonostante il titolo, sfido chiunque a trovare una parte pressoché morbida); le tastiere armoniche nella orrorifica V.A.D.E.R. insieme allo sputo delle poliedriche linee vocali potrebbero far da colonna sonora ad un rito satanico, innalzando la gloria di un Dio che per molti (e forse anche per i DAR) è una ragione di vita (o di morte?!).

E dopo l’atmosfera arpeggiata e melodica di Eye Of A Rose, giunge la potente e lurida Slaves Of Hate meno significativa della lunga To Live Is To Die: ricercata quest’ultima in ogni attimo di composizione, progressiva non nel suo carattere bensì nel suo crescendo distruttivo, ansimante nella sua epicità che si tramuta, dopo 2 minuti e mezzo, in furia taurina ed odio.La sacrificale e funebre Human End dall’anima pseudo-doom chiude l’album ed apre le porte a tre bonus tracks: la danzante Der Arme Kunrad in lingua madre, la spedita The Hit e la macabra Dragonheart, molto impattante con una presenza vocale ancora diversa rispetto a tutti gli altri pezzi.Ottimo presidio da parte della band di una visione black metal che va oltre i classici canoni del genere. Da astenersi tradizionalisti! Curiosità: i Die Apokalyptischen Reiter non sono originalissimi in quanto a nomi delle songs! L’inno Metal Will Never Die sembra banalotto (sia come title che come pezzo, raggiungendo vette molto kitch) così come Slaves Of Hate (“Schiavi dell’odio”) che si trova almeno su altri 100 album metal; Enslaved probabilmente ripresa anche dal gruppo omonimo di origini norvegesi fautore di un Viking Metal d’impatto, Dragonheart quasi dalle origini cinematografiche e To Live Is To Die che tutti conosciamo in “…And Justice For All” dei Four Horsement.
Nonostante ciò la copertina ci fa impazzire…qualcuno ci spiega perchè?

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