Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Death Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

(virtuale):
- Johannes Krauser II - voce, chitarra
- Alexander Jagi - basso
- Camus - batteria


Tracklist: 

:
1. Satsugai
2. Slash Killer
3. Grotesque
4. Mesu Buta Koukyoukyoku
5. Death Penis
6. Ano ko wo RAPE
7. Mad Monster
8. Urami Harasade Okubekika
9. Maou
10. Fuckingham Kyuden

Detroit Metal City

Makai Yugi

"La mia passione ed il mio immenso amore per la musica nascono dalla mia indole omicida" - Johannes Krauser II

I giapponesi Detroit Metal City sono un gruppo virtuale, cioè una formazione composta da personaggi fittizi dietro le maschere dei quali si celano musicisti reali che
scrivono ed eseguono la musica presentata col monicker scelto - non necessariamente corrispondenti come ruoli agli stessi membri immaginari della line-up. L'esempio più famoso di band del genere sono gli inglesi Gorillaz, progetto nato dalla mente di Damon Albarn dei Blur, ma i Detroit Metal City appartengono ad una sottocategoria a sè stante di gruppi virtuali, cioè quelli nati in un contesto narrativo e poi "introdotti nel mondo reale" con pubblicazioni vere e proprie dalla volontà di qualcuno; altri esempi del genere sono i Dethklok.
Nella fattispecie i Detroit Metal City nascono inizialmente come gruppo metal-parodia in un fumetto omonimo e nei successivi film e serie a puntate, capace di invogliare addirittura Gene Simmons degli hard rockers Kiss a partecipare nella trasposizione cinematografica. Il legame con i Kiss non è casuale perché i Detroit Metal City si ispirano nel nome ad una loro canzone (che a sua volta si rifaceva ad una parafrasi del soprannome "Detroit rock city" nato quando la città-capitale dell'automobile divenne anche la patria di seminali band garage rock come Stooges e MC5) e nel trucco al famoso make up degli americani, arricchito con una vena più glam e capelli tinti ed in opposizione alla corrente giapponese del Visual K.

Il primo full-lenght, che raccoglie anche le canzoni già composte appositamente per il film, si intitola Makai Yugi.
Il gruppo veniva originariamente presentato come una death metal band, ma in realtà i pezzi del disco sono più che altro un collage di diversi stilemi in cui il death è giusto uno di essi e risulta limitato e comunque filtrato dall'influenza degli inglesi Carcass di dischi come Swansong (che già non erano più death metal tout-court ma un'interessante commistione con spunti hard & heavy che qualcuno definì "death'n'roll") e volendo Heartwork. Diciamo che è semplicemente un disco metal, con varie influenze e diverse tendenze.
Prevedibilmente il risultato finale comunque sia non suona fresco od originale, ma questo può essere in parte scusato vista la natura della musica del gruppo intrinsecamente rifacentesi a certi classici del metal, dotata di una vena tributaria e scanzonata, come un divertissement. I veri fattori negativi del disco sono invece il songwriting confuso e privo di coesione, per cui esso risulta una collezione senza capo nè coda di pezzi disomogenei e ripetitivi. Ogni canzone è in sostanza costruita poveramente basandosi su solo una o due mezze-idee, ripetute banalmente per sfruttare l'hype del gruppo e il potenziale melodico costituito dal riff portante o dal chorus. La scarsa organicità dell'insieme impedisce inoltre che vi sia un filo musicale coerente che colleghi fra loro i brani, dando una personalità concreta al gruppo la cui proposta in sostanza è solo un esercizio di stile raramente catturante o creativo.

Il singolo apripista Satsugai inizia con corposi riff carcassiani supportati dalla pesante doppia-cassa. Subito cedono il posto al motivo principale, un groovy thrash orecchiabile e trascinante, mentre il ritornello cerca di risultare antemico ma non ha lo stesso impatto di altri veri inni. Gli unici aspetti del già citato death metal qui volendo si riscontrano nell'assolo, macabro ed intenso (così come l'altra chitarra inquietante su cui si poggia).
Ci si avvicina un po' di più invece, tenendo conto del risultato complessivo, la successiva Slash Killer, in una variante più melodica e sporcata di Accept, metal britannico e metal svedese. Come grinta è inferiore a Satsugai, che si rivelerà in definitiva il brano migliore di tutti, nel senso che tutti i successivi risultano generalmente meno coinvolgenti e più monotoni.
Grotesque è una via di mezzo fra gli ultimi Carcass, i Black Sabbath anni '80 e gli Entombed di Wolverine Blues, dall'incedere cupo ma solenne, anche se poco graffiante.
C'è una decisa virata stilistica con la stanca Mesu Buta Koukyoukyoku, ripetitiva e disadorna escursione in certe varianti dell'industrial metal (con qualche influenza heavy) che sarebbe finita in secondo piano anche nei dischi di gruppi come Cobalt 60 o Oomph!. Il poco elemento elettronico e tastieristico risulta piatto e povero di spunti.
Death Penis sembra una cavalcata stile Iron Maiden senza la classe armonica degli stessi, senza un cantante carismatico come Dickinson e senza la loro dinamicità, ma con in più qualche refrain più roccioso che si ricollega ai Celtic Frost a variare un poco la solfa (magra consolazione).
La breve ma ripetitiva e mediocre Ano ko wo RAPE fa riemergere Carcass e Black Sabbath, contornandoli con colpi di pedale un po' a caso, qualche refrain groove thrash, un riff a la Hypocrisy sotto l'assolo virtuoso e persino un brevissimo stacco black metal subito dopo. Un po' un pastone inconcludente ed insipido, senza alcuna idea.
Mad Monster inizia come un doom metal dai risvolti epici abbastanza trito ma dalle atmosfere suggestive, per poi sfociare in una ripetizione di un ossessivo riff quasi nu/thrash mentre il tutto si fa più alienante.
Urami Harasade Okubekika proietta tutto verso una dimensione più claustrofobica e nevrotica, scandita dai tappeti di tastiere fumose e spezzata occasionalmente da qualche riff power americano ottantiano che non c'azzecca nulla ed è stra-blando.
Maou ricorda un incrocio fra i riffing di Black Sabbath e Rammstein, è cadenzata e catchy soprattutto nel ritornello, ma nulla di imperdibile, comunque sopra la media del disco.
Fuckingham Palace è uno stanco e monotono riciclo delle sonorità degli Iron Maiden dei primi due dischi, con qualche divagazione vicina ai Venom sul finire.

Un'altra caratteristica dei Detroit Metal City sono i testi, scritti con in mente tutti i più efferati luoghi comuni sul metallo pesante con l'intento di farne la parodia e prendere in giro i metallari stessi. In realtà comunque non si tratta di testi realmente corrispondenti ai più comuni cliché metallici, bensì di sequenze di slogan semplicistici e ad effetto alternanti frasi parecchio divertenti ad altre più noiose (alcuni esempi: "sono il re demone degli atti criminali", "sto per ficcarti dentro il mio membro demoniaco", "esplosione degli organi interni, pioggia di viscere volanti", "stupra tutte le fottute troie che vedi" o "sono il terrorista dell'Inferno, ieri ho stuprato mia madre, domani farò a pezzi mio padre, sono un terrorista, yeah! morte - morte - uccidi - uccidi"), più adatti a strappare un piacevole sorriso ogni tanto che ad inquietare o angosciare.
Se ce lo consentite vorremmo citare a confronto un gruppo svedese, i Bloodbath, che death metal lo è veramente (la distanza stilistica è ben tangibile) e che è nato come progetto dichiaratamente fine a sè stesso con l'intento di risultare lo stereotipo del death, con tematiche macabre e violente banalissime in ogni caso di stampo e stile differente.

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