Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Pulverised Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

Klas Morberg - Vocals, Guitar
Håkan Morberg - Guitar
Johan Bohlin - Bass
Thomas Johnson - Drums, Vocals 
 

Tracklist: 



1. In a Cage 05:38 
2. Counting Our Scars 04:17
3. Ready to Bleed 04:08
4. This Broken Halo 04:49 
5. The Moment Is Gone 05:51 
6. Uneven Numbers 03:30
7. Dead Ends 04:57 
8. Leeching Life 04:27
9. A Crippling Heritage 03:58

Desultory

Counting Our Scars

La scena death metal svedese degli anni d’oro, ovvero quella che va dalla fine degli anni 80 alla metà dei 90, non ha retto al passare del tempo e segnato una pagina di Storia del Metal solo grazie alle bands più blasonate. Accanto ai nomi di spicco di quel periodo magico, è impossibile non ricordare una miriade di realtà minori che ressero le fondamenta del genere e si attirarono le simpatie dei fan più curiosi. Musicisti sottovalutati, che forse non verranno mai ricordati per le loro opere “minori” nella scena Svedese ma che, tuttavia, furono capaci di regalarci intense emozioni attraverso un proliferare nell’underground di idee vincenti, seppur a volte penalizzate dalla mancanza di fondi che portò i loro creatori ad arrendersi.

Unanimated, Merciless, Carnage, Carbonized, Morpheus e Centinex tra i nomi che mi vengono senza pensare troppo. Alcuni tra loro sopravvissero più degli altri ma il destino fu ugualmente beffardo perché dopo tanti sforzi, ai più restò al massimo un semplice nome da ricordare con gli amici davanti ad una birra senza che si sapesse neanche la musica che il gruppo proponeva in questo passato neanche troppo remoto.  Alcuni nuovi ritorni in pompa magna di storiche realtà e nomi di gruppi di recente formazione sono stati capaci di focalizzare nuovamente l’attenzione su una scena ancora capace di dire la sua. Oggi prenderemo in considerazione un gruppo formatosi nel 1989 a Stoccolma e capace di dare alle stampe ottimi lavori come Into Eternity (1993) e Bitterness (1994), prima del controverso Swallow The Snake (1996), album fortemente influenzato dall’hardcore e dal death melodico che li portò allo scioglimento.

Ed ora eccoci qui, a ben quindici anni di distanza da quel periodo nero per la band, a recensire il loro ritorno ufficiale sulla scena con un album veramente arroventato. Counting Our Scars è il nome del nuovo arrivato in casa Desultory ed annovera uno stile fortemente legato alle radici del gruppo con tutte le sue caratteristiche. Ci troviamo nuovamente al cospetto di un death metal feroce ma che a tratti si arricchisce di melodie decadenti e perfettamente in linea col mood generale. Sin dall’opener In a Cage possiamo notare come le linee soliste della chitarra siano un elemento a dir poco essenziale per rendere questa composizione veramente notevole. Un mix letale di melodia e violenza ci travolge e ci esalta. La produzione cristallina e veramente potente non trascura nessun strumento ed il gruppo dal canto suo sciorina una prestazione da urlo. Ottima l’alternanza tempi medi/ up-tempo di un’ottima title-track, anch’essa sempre arricchita da melodie decadenti ed oscure da opporre ad una ferocia strumentale da applausi.

Klas Morberg al microfono si distingue per il suo tono roco di growl, mai eccessivo ma abrasivo come la carta vetrata mentre la sezione strumentale è trascinata da Thomas Johnson alle pelli, sostenendo il riffing compulsivo di  Håkan Morberg. Ottimo l’approccio meno veloce ed ulteriormente oscuro di Ready to Bleed, pregno di fraseggi di chitarra e rullate di batteria per mantenere l’attenzione sempre alta; per poi sfociare in This Broken Halo. Sempre ottimo il tappeto melodico del riffing che si scontra con una velocità d’esecuzione di tutto rispetto per un risultato sempre coinvolgente e vario. The Moment is Gone segna alcuni rallentamenti più evidenti con aperture melodiche molto buone che contrastano con l’impulsività della breve Uneven Numbers, piazzata in un’ottima posizione per scuoterci a dovere. Badate che, come più volte sottolineato da sottoscritto, le melodie della chitarra invadono sempre il sound, anche quello più in your-face e tale è anche il caso della successiva Dead Ends.

Ci si avvicina alla fine del disco con i tempi medi di Leeching Life, i quali lasciano comunque spazio a momenti accessibili non originali ma pur sempre piacevoli, mentre la conclusione è affidata ad A Crippling Heritage, song dalla struttura varia che alterna momenti di buon groove a ripartenze veloci a chiudere un più che piacevole ritorno. Le idee vincenti ci sono, si sentono, anche se non tutte le canzoni fanno gridare al miracolo. Appassionati di death metal Svedese dal tocco melodico fatevi sotto e non ve ne pentirete.  
 

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