Voto: 
4.7 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2000
Line-Up: 

- Steve Asheim: Drums
- Glen Benton: Vocals, bass
- Brian Hoffman: Guitar
- Eric Hoffman: Guitar 

Tracklist: 

1. Bible Basher 02:23
2. Forever Hate You 03:08
3. Standing in the Flames 03:33
4. Remnant of a Hopeless Path 02:59
5. The Gift That Keeps on Giving 03:02
6. Halls of Warship 03:03
7. Suffer Again 02:19
8. Worst Enemy 02:48
9. Apocalyptic Fear 03:21
10. Refusal of Penance 04:34 

Deicide

Insineratehymn

I Deicide, iniziato il 2000, non sono in perfetta forma. Nonostante i primi quattro album del gruppo capitanato dal controverso, criticato/amato Glen Benton, fossero delle vere a proprie pietre miliari del genere, i primi segni di una neanche troppo futura crisi si fanno già sentire con questo Insineratehymn. Quest’album, pur non essendo una totale Caporetto, mostra una band stanca e con poche, molte poche idee. Forse solo l’esperienza della band e i suoni abbastanza potenti salvano questo lavoro in minima parte anche se bisogna dire che, considerando il valore delle singole canzoni, c’è ben poco da gioire. Spesso e volentieri la band si butta a capofitto in noiosi tempi medi con strutture banali, senza la cattiveria dei giorni d’oro. I pochi tempi veloci mostrano uno Steve Asheim a dir poco imbarazzante con blast beats ridicoli, spompati e neanche un minimo potenti. 

La chiara dimostrazione di ciò che ho detto si può già avere con l’opener, Bible Basher. Due strutture incollate così così, ritornello banale con la solita voce scream/growl e inutili sfuriate di batteria. Le chitarre hanno un groove buono anche se sovente esso risulta fin troppo pronunciato per una band come i Deicide. Basta ascoltare Forever Hate You per avere un’ulteriore conferma riguardo al fatto che c’è qualcosa che non quadra. Da dove provengono questi down tempo? La canzone si trascina a fatica, così come l’attenzione di un ascoltatore sempre più basito. Stessa cosa si può dire di una Standing in the Flames solo a tratti cattiva grazie ad alcuni discreti up tempo. I blast beats e le sessioni soliste delle chitarre sono come al solito da dimenticare perché di un’approssimazione indescrivibile. Tutto viene svolto come se fosse un mero obbligo da assolvere anche se non se ne ha voglia e forse, come disse poi Glen, era perché la band si voleva già scindere dalla Roadrunner ma aveva ancora un contratto che li legava ad essa per due album. Tuttavia ciò non giustifica il pessimo lavoro svolto su quest’album poiché molti fan si persero per strada proprio grazie a quest’album e il seguente In Torment in Hell

Si prosegue in questo modo con la lenta, scialba Remnant of a Hopeless Path dal groove quasi irritante e dai riffs ripetitivi per poi continuare con le inutili alterne sfuriate di The Gift That Keeps on Giving. Ad ogni modo, spesso e volentieri si ricade in tempi al limite del doom dal retrogusto così amaro e deludente. Le strutture banali, supportate da due riffs messi in croce completano il tutto. I tre minuti di durata media di ogni canzone sembrano un’Odissea e non servono i tentativi di aumentare l’intensità di un’illusoria Halls of Warship. Non c’è verso di ascoltare qualcosa di cattivo, blasfemo o semplicemente decente su quest’album. Soprassediamo sulle ridicole linee di chitarra in occasione del ritornello di Suffer Again o del loro noioso intrecciarsi su basi groove, per poi non parlare degli stop and go di un’infantile Worst Enemy. Neanche una band di ragazzini agli esordi col primo demo sarebbe stata capace di creare una cosa peggiore e a questo punto arrivo persino a gioire di una canzone come Apocalyptic Fear perché porta un minimo di velocità anche se, messa in un punto qualsiasi di un album a caso tra i primi quattro album, avrebbe comunque sfigurato.  

Questa lunga (dal punto di vista della sopportazione) agonia termina con la mazzata (per noia, non certo per pesantezza) groove di Refusal of Penance, la quale non si distacca un minimo da tutto ciò che abbiamo già avuto modo di “gustare” finora: tempi medi, doppia casa che martella in sottofondo, riffs spompi e la voce di Glen che non trasmette una minima emozione, mettendo il sigillo su un album da dimenticare per i Deicide e per il death metal in generale.  Per fortuna la band avrebbe avuto modo di riscattarsi momentaneamente in futuro ma bisogna girare alla larga da un prodotto del genere.  

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