Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Andreas Bergh “Whiplasher Bernadotte” - voce
- Eric Bäckman “Cat Casino” - chitarra
- Emil Nördtveit “Nightmare Industries” - chitarra e tastiera
- Jonas Kangur “Skinny Disco” - basso
- Ole Öhman “Bone W Machine” - batteria

Guests:
- Johanna Beckström - voce
- Anna Ekberg - voce



Tracklist: 

1. Chertograd (04:45)
2. Night Electric Night (04:04)
3. Death Dies Hard (03:21)
4. The Mark of the Gun (04:02)
5. Via the End (04:07)
6. Blood Stains Blondes (03:15)
7. Babylon (04:18)
8. The Fuel Ignites (04:00)
9. Arclight (04:35)
10. Venus in Arms (04:02)
11. Opium (03:43)

Deathstars

Night Electric Night

“Pensate a Stalin che fa sesso con le Pussycat Dolls sulla quarta luna di Saturno, ampliate il tutto a dismisura e avrete una prima, debole immagine dei confini entro cui ci muoviamo”

Parole e musica di Whiplasher Bernadotte, vocalist dei ritrovati Deathstars, che dalle colonne di Rocksound presenta al pubblico italiano il loro ultimo lavoro Night Electric Night, in attesa di proporne le inedite tracce il 24 febbraio al Musicdrome di Milano in compagnia dei Sonyc Syndicate. A quasi 3 anni di distanza dal conclamato successo di Termination Bliss, infatti, torna sulla scena una delle poche band di cui davvero, senza alcuna ironia, si sentiva la mancanza: risolti gli ormai atavici problemi di line-up con la definitiva assunzione di Eric Bäckman (Cat Casino) alla chitarra, il combo svedese dimostra di essere in assoluto tra i migliori interpreti del panorama gotico-industriale mondiale, ridefinendo i canoni di un genere che, in maniera sorprendentemente piacevole, sembra non calzare più alla loro straripante personalità artistica.

Sin dai primi ascolti si capisce immediatamente l’evoluzione stilistica che ha guidato il quintetto nordico verso questa ulteriore dimensione musicale: eliminati gran parte degli effetti elettro-urbani di sottile matrice ambient, il sound dei Deathstars si è lentamente asciugato, mettendo in evidenza i singoli contributi strumentali con una sovrapposizione sonora di estrema pulizia e incredibile raffinatezza; a questa rivalutazione delle linee individuali, a discapito di soffusi e talvolta noiosi sfondi computerizzati, si aggiunge una palese virata verso atmosfere meno industriali e decisamente più gotiche, laddove ai crepitii elettrico-meccanici propri della civiltà industriale sovente si sostituiscono stormi di violini e cori pseudo-angelici in grado di estremizzare la componente più groove e burlesca (a questo si riferisce il precedente pseudo) della loro proposta musicale. Allo stesso tempo, gli elementi più caratterizzanti dello stile deathglam coniato dai 5 musicisti scandinavi sembrano rifulgere di una luce quasi accecante: la melodia, sempre predominante sin dai loro esordi, acquisisce una carica inaudita, grazie ad una consapevolezza del proprio gusto per la semplicità ed il coinvolgimento emotivo a dir poco traboccante che non disprezza affatto evidenti richiami dance-floor. Oltre ai deliziosi intrecci canori tra vocalità metalliche alienanti e speculari contrappunti gracchianti, che offrono nuovo vigore a sezioni di strofa sempre più semplificate e per questo ancor più accattivanti rispetto alla precedente discografia, a stupire sin dai primi superficiali ascolti sono i chorus: esplosivi, sia in termini vocali che strumentali, trascinanti, coinvolgenti, con costruzioni ritmiche effervescenti (nonostante le ambientazioni notturne e spesso inquietanti) e orizzonti sintetici sì ruffiani (la loro natura glam glielo consente appieno e per noi ascoltatori è certamente un bene) ma al contempo estremamente gradevoli. Infine, è immediato intravedere una precisa forma canzone alla base di tutte le tracce, che si costituisce dell’alternanza strofa-chorus con bridge intermedio e reprise finale: ciò non pregiudica, naturalmente, la qualità dei brani, ma a lungo andare può scaturire in una sfavorevole impressione di scontatezza che, al di là di una benefica propensione al pop, certamente farà comparire numerosi musi lunghi.

Ad ogni modo, al punto di vista della tracklist si rivela difficile individuare episodi in grado di distinguersi nettamente al di sopra di una qualità media davvero sorprendente: oltre al primo estratto Death Dies Hard, che esprime alla perfezione la definizione letterale di singolo e costituisce certamente la punta di diamante dell’intero Night Electric Night, senza dubbio la roboante The Mark Of The Gun (non fosse per un ritornello tendenzialmente sotto tono, quasi eguaglierebbe la precedente), la poderosa The Fuel Ignites (davvero ragguardevole il tempo di marcia imposto da Ole Öhman dietro le pelli), la sognante Venus In Arms, la sinistra Babylon (assolutamente inconfondibile sin dalle prime note, pur non essendo ai livelli delle precedenti riesce ugualmente a domare con facilità anche i timpani meno bendisposti), la trascinante Arclight (seppur in maniera decisamente più tenera, sarebbe degna erede di Death Dies Hard come secondo singolo estratto), l’esplosiva Opium (davvero piacevole e vario il consistente pattern ritmico sul quale si insinuano i soliti esaltanti chorus). Capitolo a parte merita l’inaspettata Via The End (dedicata a Jon Nördtveit, fratello di Emil e leader dei Dissection, morto suicida il 16 agosto 2006), dark ballad nella quale rifulge un romanticismo soffocante, al confine tra fioche speranze e cupe rassegnazioni: una severa linea di pianoforte guida i fluenti contraltari vocali, talvolta macabri e irosi, talvolta placidi e luminosi, permeando l’intero brano di un sentimento mai così vivo e sincero, del tutto privo di quella grottesca inquietudine di cui i Deathstars sono inarrivabili maestri. Ovviamente, Night Electric Night non è certo un album perfetto e colpisce che i momenti meno freschi e pungenti siano posti proprio all’inizio della sequenza dei brani: Chertograd (la cui lunga durata risulta tutt’altro che un vantaggio) ricorda troppo da vicino le atmosfere intimiste e gracidanti di Termination Bliss, partendo da un tappeto elettronico francamente eccessivo e quasi manierista e sfociando in un chorus piatto e decisamente poco carismatico, in cui i cori femminili paiono orpelli decisamente poco gratificanti; allo stesso modo la titletrack si macchia di una colpa generalmente quasi risibile ma che, alla luce degli episodi successivi, è inevitabile considerare drammatica: l’assenza di un chorus veramente catchy, potente, quasi cantabile, in grado di esaltare un ascoltare già inestricabilmente avvinto da ritmiche furoreggianti e quanto mai puntuali, sia dal punto di vista tecnico sia sotto l’aspetto emozionale. Unico vero neo di quest’ultimo album dei Deathstars è, last but not least appunto, l’imbarazzante somiglianza della Blood Staines Blondes con l’inarrivabile Death Dies Hard: evidente sin dai primi accenni, qualunque commento sarebbe francamente insufficiente a descrivere un’incredibile operazione di auto-doppiaggio.

Tant’è che comunque Night Electric Night è un album trascinante, coinvolgente, esplosivo, autoritario, assolutamente unico nella forma, nello stile, nelle sonorità, che per di più manifesta il grandissimo pregio di superare definitivamente il difetto ormai congenito nella produzione del quintetto industriale scandinavo, ovvero quell’inevitabile noia che sopraggiungeva inarrestabile nel corso degli ascolti: Night Electric Night, infatti, non soltanto si lascia apprezzare sia nella più vorticosa immediatezza che nelle successive ripetizioni, ma quasi schiavizza l’ascoltatore che, obbediente fino alla psicotropia, non patisce stanchezza nemmeno a seguito della più torrida heavy-rotation.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente