Voto: 
6.4 / 10
Autore: 
Marco Lorenzi
Genere: 
Etichetta: 
Vagrant
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Chris Carrabba – voce, chitarra, tastiere
- Adam Duritz - voce (in So Long, So Long)
- Scott Schoenbeck – basso
- John Lefler – chitarra, tastiere
- Mike Marsh – batteria, percussioni
- Suzan Sherouse – violini, voce

Tracklist: 

1. Don’t Wait (04:04)
2. Reason to Believe (03:43)
3. The Secret’s in the Telling (03:24)
4. Stolen (03:53)
5. Rooftops and Invitations (03:54)
6. So Long, So Long (04:15)
7. Currents (04:27)
8. Slow Decay (04:08)
9. Dusk and Summer (04:38)
10. Heaven Here (04:08)

Dashboard Confessional

Dusk and Summer

L’ultima fatica dei Dashboard Confessional è come un derby calcistico, un atteso confronto tra squadre rivali nella stessa città, terminato in pareggio. Un pareggio a reti inviolate, per giunta.
Dusk and Summer esce a tre anni dall’album che incoronò i Dashboard Confessional come nuova band finalmente integrata nell’universo musicale che attrae il pubblico più appetibile. Questo quarto full-lenght toglie definitivamente le speranze a chi avrebbe voluto rivedere Carrabba con la chitarra acustica sotto braccio cantare le proprie emozioni, che in fondo sono quelle di tutti noi, di fronte ad uno stuolo di fan attenti e rispettosi.
Il dado è tratto, questa volta. Dispiace parecchio, per giunta, perché Dusk and Summer non è carne, ma nemmeno pesce. E’ uno di quei dischi che, anche dopo averlo ascoltato cento volte, non avranno nulla in più da dire di quanto è già stato scritto. Sono altri tempi. O forse è proprio il caso di dire che i tempi sono cambiati.
E’ rock emozionale, questo, prodotto da un mostro sacro della musica internazionale come Daniel Lanois (U2, soprattutto). Rock con sfumature pop, precisiamo, il che acuisce il senso di malinconia per aver visto sfumare pian piano una creatura che Carrabba aveva ideato e dato alla luce senza snaturare nulla, traducendo in musica ciò che rappresenta lo stato d’animo suo e di centinaia di migliaia di adolescenti in tutto il mondo.
Non è un disco da buttare a priori; a maggior ragione, però, non è il disco che potrebbe trovar posto nella discografia essenziale, anche per gli amanti del genere.
Dieci pezzi in tutto per un lavoro maturato in tre anni, in cui crediamo che Carrabba sia stato spesso sul punto (se non l’ha fatto sul serio) di riscrivere tutto da capo quanto aveva già ideato. Perché in casi del genere il rischio di sfociare nella banalità o nella tremenda (per un musicista, più che per un fan) sensazione di “aver già sentito quel motivo da qualche parte” rappresenta un confine molto labile.

Dusk and Summer manca di una sua anima, ecco la verità. Ci permettiamo di farlo notare senza dimenticare, tuttavia, che qualcosa di buono questo disco lo offre. Stolen, ad esempio, è forse l’opera più riuscita del full-lenght. Ballata dai toni romantici e pacati è efficace dopo un incipit che stancamente ci conduce al prosieguo del disco (il singolo di lancio Don’t Wait non è per nulla entusiasmante).
Poi è So Long, So Long a regalare qualche timida emozione, non fosse per la presenza della voce dei Counting Crows, Adam Duritz, che impreziosisce l’arrangiamento in cui la chitarra fa da sfondo senza però incidere mai. Per concludere con Heaven Here, ultima traccia ed unica altra nota degna di attenzione.
Potrebbe essere, questo Dusk and Summer, l’ennesima colonna sonora di una love story maturata sotto il sole estivo (lo suggerisce il titolo stesso).
Il processo che ha portato Carrabba e soci ad un sostanziale mutamento nel genere e nell’approccio alla loro musica, con Dusk and Summer crediamo abbia raggiunto effettivo compimento, perché il metro di confronto con le riflessioni intime e discrete che il leader dei Dashboard Confessional ci dispensava non più di cinque, sei anni fa è troppo forte per farci resistere alla tentazione di togliere il cd dal lettore e reinfilarci un The Swiss Army Romance qualunque.

Questa volta non bastano un paio di brani azzeccati a salvare la faccia. Si tratta di un disco sufficiente, ma nulla di più, perchè risulta difficile trovare lampi od ombre in un lavoro in cui è la piattezza a spaventare.
Sembra uniformarsi senza opporre resistenza al “nulla di che” tanto odiato/amato (a seconda del modo di interpretare la musica) che per intenderci fa parte di quel calderone di band o singole voci che fanno terra bruciata in televisione.
Per finire con il deludere le attese di fans che il flash degli esordi chitarra e voce di Carrabba ce l’hanno ancora impresso nella memoria.

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