Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Genere: 
Etichetta: 
Fiction, Polydor
Anno: 
2012
Tracklist: 

Plague
Kerosene
Wrath of God
Affection
Pale Flesh
Sad Eyes
Insulin
Violent Youth
Telepath
Mercenary
Child I Will Hurt You

Crystal Castles

(III)

 

Scoprire che quest’anno sono tornati anche i Crystal Castles per me è stata una vera sorpresa: come tutti i giorni, non facevo altro che perdere tempo davanti a Facebook, quell’affare infernale, e vedo che uno dei miei amici condivide una loro canzone dal titolo sconosciuto. Un inedito, senza ombra di dubbio! Adrenalina, eccitazione, devo sentire il nuovo album ad ogni costo e finalmente ce la faccio. Il risultato? Beh…non molto facile a dirsi. Al primo ascolto, si nota subito che rispetto ai due precedenti lavori la causticità è un po’ appianata, le canzoni mancano di quella violenza riottosa che animava (I) e si disciplinava in (II) e appaiono un po’ più stanche, impantanate in un’ansia di ribellione che si incupisce nella sconfitta.

Lo stile non è sostanzialmente cambiato rispetto al passato e ciò è molto comprensibile, poiché un cambiamento radicale rischierebbe di essere snaturante e controproducente per un gruppo che ha sempre fatto musica creando delle atmosfere più che delle melodie. Si trovano così pezzi come Transgender, allucinante e spiazzante in tutte le sue cupe distorsioni e che sembra derivare dritto dal predecessore del presente lavoro. Ad un ascolto più approfondito, tuttavia, si possono cogliere dei sottili elementi di novità, poco evidenti ma a loro modo significativi. Innanzi tutto abbiamo Insulin, breve e spietata, che rappresenta un po’ la poetica di (III), ciò che cerca di essere: vuole essere degrado, qualcosa di marcio e crudelmente implacabile, come i beats che schioccano insensibili contro i timpani mentre tuoni distorti si tratteggiano in cupe cadenze da sabba del nuovo millennio. Il suono è interrotto a tratti, e le interruzioni dipingono ritmi che prendono forma proprio dall’assenza di suono, un espediente interessante che però non sembra funzionare a dovere. Cercare nuove soluzioni sonore sembra uno degli scopi che si prefigge questo album ma in definitiva, come già visto, i risultati non sono molto soddisfacenti e in alcuni casi sono quasi allarmanti, come capita ascoltando Affection. Alla consueta nenia informe e dissonante accompagnata dalla solita elettronica potente, si affiancano beats che strizzano l’occhio all’hip hop in maniera del tutto fuori luogo e che creano una canzone lunga due minuti e rotti ripetitiva e insipida. Decisamente, Affection rappresenta ciò che i Crystal Castles è bene che non diventino, ed effettivamente (e fortunatamente) questo pezzo rappresenta un unicum in tutta l’opera. Per contro, troviamo piccoli gioielli come Wrath of God che si identifica in ciò che i Crystal Castles, nel 2012 e a questo punto della loro discografia, effettivamente sono: un’evoluzione matura di ciò che sono stati, più consapevole e soprattutto più capace. In questo pezzo si racchiude la vera natura dell’album che è un po’ una crasi tra i primi due dischi, da una parte troviamo infatti una melodia soffice e rassicurante quasi da colonna sonora di un film di fantascienza degli anni ’80, retaggio di (II), che presto però si colora di battiti spigolosi e voci d’angoscia, come succedeva in (I). Ciò che si nota è soprattutto la cura e l’efficacia con cui è compiuto questo mix e si evidenzia una caratteristica rilevante in tutto il lavoro, che è proprio questa maggiore attenzione per la stratificazione del suono, non più lasciato grezzo e aggressivo ma via via sempre più abbellito da piccoli accorgimenti che rendono la canzone meritevole di essere ricordata. Sicuramente, se le idee di (I) fossero state sviluppate con questo livello di capacità, avremmo avuto nient’altro che il disco del secolo.
Anche in questo caso, come nei due precedenti, in chiusura troviamo Child I Will Hurt You, un pezzo sognante e a dir poco ipnotico, ma segnato al solito da una vena di orrore racchiusa già soltanto nel titolo e che crea un contrasto che è quanto mai efficace nonostante sia un espediente reiterato svariate volte. A meritare una menzione particolare è Sad Eyes, un po’ un’ outsider rispetto al resto del disco e, oserei dire, rispetto all’intera produzione dei Crystal Castles. A parte gli elementi “tradizionali” come beats insistenti, voci distorte e appena udibili e synth acidi, troviamo una melodia solida e ben costruita, quasi una reinterpretazione in chiave elettronica di un’aria di musica classica con tanto di variazioni sul tema, cosa che riporta alla mente i Knife di Marble House. E scusatemi se è poco.

In conclusione, possiamo dire che il 2012 ci restituisce dei Crystal Castles più stanchi, più grandi, più smaliziati ma allo stesso tempo più consapevoli e assolutamente in evoluzione, e sicuramente è proprio questa la chiave da usare per capire (III): è innegabile che sia un ottimo prodotto, ma prelude a qualcosa di meglio, sicuramente di diverso.

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